Un operaio di un’azienda hi-tech cinese (getty Images) 

Cina, la superpotenza degli aiuti di stato 

Oscar Giannino

E’ difficile stabilire i numeri veri che stanno dietro l’immane sforzo tecnologico, industriale e militare di Pechino. Si può azzardare che, quanto a sussidi alle imprese, sia come se l’Italia spendesse ogni anno 130 miliardi di euro

Quanto costa ai cinesi la lunga marcia che sotto la guida del Partito comunista li ha condotti a essere superpotenza mondiale nell’industria e superpotenza militare in grado sempre più efficacemente di colmare e talora superare i gap con gli Stati Uniti nel Pacifico? Quali sono i numeri veri che stanno dietro l’enorme balzo in avanti per costruire da una parte la base di relazioni internazionali in vista di un nuovo ordine mondiale che si è manifestata alla conferenza di cooperazione a Tianjin e poi nella maxi parata militare a Pechino, con Russia e Corea del Nord nel ruolo di vassalli e l’India di Modi riconsegnata da Trump all’influenza cinese?

Per capirlo, serve una premessa obbligata. Nel suo immane sforzo tecnologico, industriale e militare, la Cina è diventata sempre più opaca su numeri e statistiche della propria economia. Nell’ultima parte del 2024, a fronte del rallentamento del suo tasso di crescita e al primo manifestarsi serio degli effetti sul mercato del lavoro della sua caduta demografica, ha sospeso la pubblicazione di decine e decine di rilevazioni statistiche. Ma anche quelle precedenti erano gravate da opacità che le rendevano inaffidabili. Con l’esplosione della campagna di Trump sui dazi, l’opacità dei dati cinesi è diventata un tema ancor più serio. In assenza di numeri affidabili, i superdazi alla Cina, e quelli europei maggiorati su auto e acciaio cinesi, si basano su stime dei super sussidi pubblici cinesi alle imprese che determinano un inaccettabile dumping contro il fair trade. Ma le autorità cinesi disconoscono correttezza e veridicità delle stime realizzate dal Dipartimento del Commercio Usa e dalla Commissione europea. Da sempre i governi autoritari mentono su ammontare ed effetti dei propri interventi sull’economia. Rinnegare la trasparenza è caratteristica qualificante della tirannia. Ed è un male contagioso, se pensiamo che ormai anche la Casa Bianca caccia gli economisti del Dipartimento del Lavoro accusandoli di diffondere statistiche contrarie ai desiderata di Trump, e mira a impadronirsi della Fed per ottenerne politiche monetarie più accomodanti. 

 

La spesa per la Difesa

Per avere un’idea delle tenebre sui conti veri della Cina, partiamo dalle spese per la Difesa. Alla parata di Pechino è sfilata una lunga serie di sistemi d’arma di nuova concezione e tecnologia molto avanzata: dai missili a raggio intermedio antinave che non hanno eguali oggi in occidente, a nuovi caccia di quinta generazione, un nuovo missile intercontinentale,  droni concepiti per il ruolo di loyal wingman collegati a sistemi di rilevazione sia terrestri sia aerei  sia satellitari, sistemi antidrone di breve, media e lunga portata, una nuova generazione di siluri e mezzi navali unmanned di superficie e subacquei. Uno sforzo enorme in accelerazione da anni, insieme all’ascesa del numero delle testate nucleari cinesi. Tuttavia nei decenni nessuno è riuscito a fare chiarezza su quanto la Cina spenda davvero per la Difesa. Il bilancio ufficiale cinese prevede per il 2025 l’equivalente di 247 miliardi di dollari in spese militari. Mentre nel 2024 le cifre ufficiali indicavano allo stesso fine una spesa equivalente di 232 miliardi di dollari. Calcolare queste voci in termini di tasso di cambio corrente non ha però alcun senso. Per avere una stima seria bisognerebbe adottare un sistema di valutazione di costi e prezzi a parità di potere d’acquisto, con il metodo PPP della Word Bank ad esempio. Ma per farlo bisognerebbe avere dati certi sul costo del lavoro, prezzi di trasferimento all’interno di grandi gruppi, trasferimenti monetari e agevolazioni creditizie pubbliche, e una sfilza di altri dati. Che oggi mancano. Motivo per il quale si procede per stime ipotetiche: il Sipri di Stoccolma valutava le spese militari cinesi 2024 non in 232 miliardi ma in 318 miliardi di dollari. Economisti della difesa statunitensi, con accurati studi pubblicati sulla Texas National Security Rewiev sui limiti stessi del sistema Ppp, che non si applica facilmente ai costi reali di tecnologie e componenti che possono essere o procurate a prezzi di mercato, oppure copiate attraverso spionaggio industriale in cui la Cina eccelle, hanno stimato la spesa militar reale cinese del 2024 in 471 miliari di dollari, più del doppio dei numeri ufficiali di Pechino. Sta di fatto che per la Difesa la Cina spendeva in termini reali un sesto degli Usa fino a 10 anni fa, oggi dovrebbe aver superato il 50 per cento del bilancio della Difesa Usa (se non comprendiamo spese per veterani, apparato civile e Guardia costiera), ma con tempi di ricerca, sviluppo e adozione di nuovi sistemi che sono valutabili in un quarto o un quinto di quelli occidentali. Sui spiega così tutta la rapida ascesa della marina cinese, delle nuove portaerei con gruppi imbarcati di volo, e delle nuove generazioni di missili cinesi.   

 

I sussidi alle imprese

Nei tempi trumpiani di feroci e globali guerre daziarie, è doloroso e pericoloso non poter contare su cifre attendibili dell’enorme e crescente sostegno che lo stato cinese riserva al suo apparato produttivo. E’ una condizione che oggettivamente avvantaggia la Cina a estendere la propria influenza nel mondo. Perché attira paesi in via di sviluppo sulla base dell’accusa che l’occidente usi cifre false e arbitrarie esclusivamente per difendere il sistema del dollaro e delle alleanze militari occidentali. Il nuovo “ordine mondiale” cinese prevede vassalli di diverso rango, a seconda della propria disciplina nel fornire alla Cina materie prime in cambio di infrastrutture e linee di credito, o della propria potenza militare come nel caso di Russia e Corea del Nord. Ma in realtà è costruito proprio sull’opacità dell’enorme protezionismo industrial-militare che la Cina ha tenacemente costruito, assicurandosi monopoli e monopsoni su un numero crescente di input di produzione essenziali per le nuove tecnologie.  Per tutte queste ragioni, molti economisti continuano ad affinare stime e modelli per avere un’idea più precisa dell’entità di quanto lo stato cinese destini alle imprese.  
L’ultimo contributo è una ricerca svolta da tre economisti del Fondo Monetario Internazionale, Daniel Garcia-Macia, Siddharth Kothari e Yifan Tao. Anche nel loro caso, sono i primi ad affermare  che il lavoro immane di ricerca che hanno condotto per dare solidità alle stime deve purtroppo scontare l’impossibilitò di accesso a moltissimi dati. Si basano infatti sui dati 2010-23 tratti dai bilanci delle 5 mila società cinesi quotate in Borsa, nonché dal catasto, per calcolare il costo fiscale equivalente di quattro strumenti di politica industriale: ovvero sussidi in denaro, agevolazioni fiscali, crediti agevolati e terreni agevolati per i settori favoriti. I sussidi in denaro sono riportati direttamente dalle imprese, mentre i benefici fiscali sono misurati come differenza tra l’aliquota fiscale prevista dalla legge e le aliquote effettive dell’imposta sul reddito delle società calcolate dai bilanci a livello settoriale. I sussidi al credito sono identificati come la differenza tra i tassi di interesse effettivi per le imprese del settore manifatturiero e quelli di altri settori, dopo aver controllato altre variabili finanziarie a livello di impresa e di tipo di impresa. Infine, i sussidi fondiari sono stimati utilizzando il catasto, che copre l’universo delle vendite di terreni alle imprese manifatturiere (1,6 milioni di transazioni nei 13 anni osservati) e paragonando i loro prezzi a quelli praticati alle imprese vicine in altri settori e nello stesso anno.

 

Trasferimenti monetari

I sussidi in denaro sono lo strumento più semplice da misurare, poiché vengono riportati come voce separata nei conti economici delle società quotate in Borsa. Dai numeri così ricavabili, si evidenzia subito il sostegno prioritario deciso dal governo cinese ai settori considerati “trainanti”  ai fini nazionali e internazionali della crescita. I trasferimenti monetari alle quotate del comparto semiconduttori e chips erano pari al 9,7 per cento del loro valore aggiunto nel 2013, tra il 3,5 e il 3,8 per cento nei settori dei macchinari industriali, automotive, farmaceutico e biotech. Per beni durevoli, arredo e mobili, tabacco, alimentari e commercio retail, considerati “non strategici”, i sussidi raramente superavano l’1 per cento del valore aggiunto. La cosa interessante è che se si analizza l’andamento temporale dei sussidi monetari alle quotate dividendole tra imprese di stato e imprese “private”, fino al 2014 i sussidi diretti alle pubbliche erano maggiori di quelle private, ma dopo il rallentamento recessivo del 2015 quello alle private risulta maggiore che alle pubbliche, poiché nei settori “trainanti” le grandi private quotate superano le imprese di stato. Non dimenticando che anche sulle “private” la presa diretta delle direttive emanate dal partito è stata resa sempre più stringente.   

 

Agevolazioni fiscali

I benefici fiscali a livello settoriale sono misurati come differenza tra l’aliquota massima dell’imposta sul reddito delle società, pari al 25 per cento, e l’aliquota effettiva dell’imposta sul reddito delle società per il settore. Si tratta di una misura ampia che tiene conto di vari benefici, tra cui incentivi agli investimenti specifici per determinati beni o sconti fiscali per le imprese nelle zone economiche speciali, nella misura in cui la loro incidenza varia da un settore all’altro. Anche per i sussidi fiscali è evidente la priorità dei settori “trainanti”. Nel 2023 le agevolazioni tributarie rispetto al totale dei profitti sono state tra il 12 e il 14 per cento per le imprese di semiconduttori, macchine industriali e software, mentre automotive, farmaci e biotech ne hanno beneficiato per il 10-11 per cento.  Per i generi di consumo, alimentari  e bevande non si arriva oltre il 2,5-3 per cento. Interessante invece l’esplosione delle agevolazioni fiscali al settore dei servizi professionali. La crescente managerializzazione delle imprese tecnologiche cinesi ha richiesto un’enorme necessità di competenze professionali esterne, di qui agevolazioni fiscali fino al 10 per cento del totale dei profitti del comparto. Per analoghe ragioni rispetto a quelle richiamate per i sussidi monetari, anche le agevolazioni fiscali cinesi rivolte alle grandi imprese private quotate superano in maniera molto significativa quelle riservate alle imprese di stato, che possono contare su altri benefici come i bassi costi di input e lavoro garantiti dallo stato. Tutte queste stime, riconoscono gli autori,  sono per difetto e in termini reali le agevolazioni possono essere molto superiori, non essendo compreso nei dati su cui ha lavorato la ricerca ad esempio il regime delle imposte differite, riconosciuto anche per singola impresa. Anche il regime Iva non è contenuto nella stima, perché in Cina può essere differenziato anch’esso non solo per settore ma per azienda.   


Sussidi al credito

I sussidi al credito sono misurati come differenze nei tassi di interesse effettivi tra i vari settori che non sono spiegabili dai determinanti finanziari standard e da altre variabili di controllo. Si ricorda che, a fonte della frenata di crescita e mercato del lavoro, la Banca centrale cinese ha abbassato nel maggio scorso per la prima volta in sette anni i tassi: oggi il tasso a breve e per prestiti nuovi è fissato al 3 per cento, mentre per l’orizzonte medio lungo dei 3-5 anni è fissato al 3,5 per cento. Anche in questo caso i dati delle quotate cinesi mostrano che le imprese dei settori considerati “strategici” beneficiano di un tasso di interesse effettivo più basso, rispetto ai settori meno favoriti, ma in ogni caso si tratta di 20-25 punti base in meno. Al contrario, distinguendo tra manifatturiero e no, il primo gode di un tasso inferiore anche di 40-50 punti base. E le imprese statali beneficiano di un tasso ancora inferiore, tra i 50 e i 60 punti base, perché ovviamente il loro rischio di credito è inferiore grazie alle garanzie dirette di Stato sulla loro solvibilità. Nei dati si legge poi il crescente sostegno pubblico al credito in presenza di rallentamento dell’economia cinese, poiché negli ultimi due anni cresce la quota di interessi più bassi garantiti alle imprese con un leverage finanziario più elevato, il che implica che le banche pubbliche (oltre il 50 per cento del totale dell’intermediazione finanziaria “ufficiale” della Cina)  sono sempre più impegnate allo scopo di evitare crisi d’impresa e fallimenti.
 

Sussidi fondiari

Su questo, la ricerca confronta il prezzo unitario dei terreni venduti dal governo alle imprese manifatturiere con il prezzo dei terreni venduti alle imprese non manifatturiere basati sul mercato (esclusi i terreni per uso pubblico). Mentre il prezzo mediano nel settore manifatturiero è rimasto più o meno stabile e leggermente superiore a 200 renminbi (Rmb) al metro quadrato, il prezzo unitario in altri settori è stato costantemente superiore a 600 Rmb al metro quadrato, il che implica uno sconto di almeno 2/3 sul prezzo dei terreni venduti alle imprese manifatturiere. Lo sconto per il settore manifatturiero ha registrato un aumento durante il boom del mercato immobiliare terminato nel 2021, per poi attenuarsi con la correzione del mercato immobiliare, suggerendo che il governo abbia protetto le aziende manifatturiere dall’aumento generalizzato del valore dei terreni. 

 

Dimensione totale dei sussidi

Combinando i quattro strumenti in totale, la somma dei sostegni pubblici alle imprese cinesi è stimabile tra il 4 e il 5 per cento  del pil negli anni 2012-2020, fino a superare il 5 per cento negli anni successivi. Se prendiamo a riferimento il pil “ufficiale” cinese stimato nel 2024 a quasi 19 mila miliardi di dollari, significa che negli ultimi cinque anni gli aiuti di stato alle imprese cinesi sono state pari superiori  a mille miliardi di dollari l’anno.  A titolo di confronto, gli aiuti di stato forniti dai paesi dell’Ue – che comprendono sussidi in denaro, agevolazioni fiscali e sussidi al credito – sono stati pari a circa l’1,5 per cento del pil nel 2022 del Covid, con le grandi economie manifatturiere leggermente al di sopra della media. Ma gli stessi autori della ricerca affermano che troppi dati mancano per non considerare sottostimate queste grandezze. Associando i dati delle imprese non quotate alle quotate cui si riferisce la ricerca è infatti un azzardo. In realtà, il soccorso pubblico cinese a non quotate a rischio fallimento è avvenuto eccome, ma non ne abbiamo i dati aggregati. E d’altra parte anche il sostegno pubblico alle quotate comprende strumenti di cui mancano i dati, come agevolazioni fiscali settoriali che vanno oltre l’imposta sul reddito delle società o finanziamenti azionari sovvenzionati attraverso fondi guidati dal governo. In altre parole, i sussidi pubblici reali alle imprese cinesi potrebbero essere in realtà tra il 6 e il 7 per cento del pil. Se consideriamo i 2.192 miliardi di euro di pil italiano 2024 e una stima conservativa del 6 per cento di pil di aiuti di stato cinesi, è come se ogni anno l’Italia assicurasse vantaggi alle sue imprese per 130 miliardi euro. Giusto per avere una dimensione di ciò che dobbiamo affrontare, per stare sui mercati mondiali.   

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