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L'analisi

Starmer vede Trump e spera di ottenere un trattamento migliore sui dazi ai metalli

Davide Mattone

Il premier britannico riceve il presidente Usa con un obiettivo chiaro: strappare la riduzione dei dazi su acciaio e alluminio. Sul tavolo anche un asse più stretto su Ucraina e difesa, energia nucleare, e tecnologia
 

Roma. La seconda visita di stato di Donald Trump nel Regno Unito si consumerà questa settimana tra la formalità dei rituali reali e l’urgenza di un’agenda economica che Londra considera strategica. La volontà politica britannica è chiara: usare il rapporto diretto con la Casa Bianca per ottenere vantaggi concreti sui dazi, a partire da acciaio e alluminio. Downing Street parla di “salto di qualità” nel rapporto bilaterale, e un portavoce del premier britannico Keir Starmer lo battezza come “il più forte rapporto al mondo”. 

Il capitolo più avanzato è sicuramente l’automotive, che ha una cornice tariffaria concordata da giugno. L’intesa, battezzata “Economic Prosperity Deal”, prevede un dazio del 10 per cento sui primi 100 mila veicoli britannici esportati ogni anno negli Stati Uniti; oltre quella soglia, scatta un’imposta del 27,5 per cento. Nel 2024 il Regno Unito ha spedito poco più di 101 mila  auto per 7,6 miliardi di sterline: per Londra  l’intesa è utile nell’immediato per conservare i volumi esportati, ma non incentiva un aumento dell’export. L’Ue, invece, ha ottenuto un’aliquota unica del 15 per cento senza limiti quantitativi: paga di più per singola auto, ma non è frenata da barriere che scattano dopo un certo volume. Non si può parlare in nessuno dei due casi di trattamento migliore in assoluto, ma semplicemente diverso.

Il nodo che resta da sciogliere è quello dei metalli, per il quale Trump ha da mesi promesso di abbassare i dazi. Oggi l’acciaio britannico che entra negli Stati Uniti è ancora sottoposta a un dazio del 25 per cento. Chris Southworth, alla guida della Camera di Commercio internazionale del Regno Unito, ha dichiarato che tanto più a lungo persiste questa situazione, maggiore sarà l’incertezza, minori le prospettive di crescita, e quindi più alto il rischio per l’occupazione. La soluzione in discussione tra il Regno Unito e gli Stati Uniti è un sistema di contingenti doganali, cioè quantità predefinite di acciaio e alluminio che possono essere importate a dazio ridotto. A queste quote si legano però regole severe. La principale è la cosiddetta “melted and poured”: in pratica, per beneficiare dello “sconto” doganale, il metallo deve essere prodotto (ossia “fuso e colato”) nel paese esportatore. E questo è un problema concreto per il Regno Unito: a Port Talbot, l’impianto chiave di Tata Steel si è fermato nel settembre 2024 e la riapertura è prevista con fornaci più “green” tra il 2027 e il 2028. Nel frattempo l’azienda importa semilavorati dall’India e dai Paesi Bassi che, non essendo “fusi e colati” nel Regno Unito, non supererebbero il test di origine. Washington sarebbe disposta a concedere quote inizialmente limitate per proteggersi dalla competizione dei metalli indiani, con la possibilità di aumentarle quando l’impianto gallese tornerà operativo. 

Sul versante europeo, il quadro si complica per la competizione indiretta fra Londra e Bruxelles. L’Ue sta lavorando con Washington all’implementazione legislativa dell’accordo raggiunto a luglio, attraverso regole tecniche e standard comuni (per esempio, il calcolo di componenti estere). L’obiettivo è evitare la “trade diversion”, cioè che merci di paesi terzi arrivino negli Stati Uniti facendo scalo nel Regno Unito e venendo trattate come britanniche. La Casa Bianca condivide la cautela. Senza coordinamento, Regno Unito e Ue finiscono per competere sullo stesso mercato con regole diverse e controlli d’origine più severi, generando per le imprese più burocrazia, doppie certificazioni, ritardi in dogana, e così via.

Prima ancora dell’arrivo di Trump sono stati annunciati passi avanti su nucleare civile e tecnologia tramite un accordo bilaterale, con investimenti in arrivo da gruppi statunitensi come PayPal, Bank of America, Nvidia e OpenAI. L’intesa include progetti su piccoli reattori nucleari che, in alcuni casi, potranno alimentare nuovi data center per l’intelligenza artificiale, insieme ad accordi di cooperazione tecnologica e a impegni d’investimento statunitensi. Il giudizio sulla capacità negoziale di Starmer, però, si misurerà anche sui metalli: altrimenti resterà l’immagine di un paese che si è mosso per primo senza ottenere, per ora, un vantaggio competitivo netto.
 

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