
LaPresse
La tassa nascosta
Musica e non solo. Contro la vetero tassa sulla copia privata
Se il ministro Giuli accetterà la nuova proposta del Comitato consultivo permanente sul diritto d'autore, si pagherà anche sui prodotti ricondizionati, senza distinzione se siano stati prima acquistati con il pagamento della tassa, e sul cloud
Quando il presupposto di una tassa diventa obsoleto, spesso la tassa rimane. E’ una realtà della vita; ma è particolarmente odiosa quando il gettito dell’imposta non va alla collettività, ma a un ristretto gruppo di beneficiari. E lo è sommamente quando, come nel caso della copia privata, il balzello viene rivisto al rialzo. Chiunque acquisti un supporto potenzialmente utilizzabile per copiare dei contenuti protetti da diritto d’autore: è il caso di Cd, Dvd, chiavette Usb, ma anche Sd Card, smartphone e – forse – tra breve anche il cloud e i prodotti ricondizionati. Questa, almeno, è la proposta del Comitato consultivo permanente sul diritto d’autore, che il ministero della Cultura ha messo in consultazione pubblica fino al 15 settembre.
Tutto nasce nel 1992, tecnologicamente parlando un’era geologica fa, con l’introduzione dell’equo compenso, poi diventato “copia privata”: la gente copiava cassette e Cd, regolarmente acquistati, per usi personali, quindi bisognava compensare gli artisti. Con la Direttiva Ue del 2001 e il recepimento italiano del 2003, il sistema si cristallizzava: ogni dispositivo con memoria digitale diventava un bancomat per la Siae. Il principio era di una semplicità disarmante: se tutti possono copiare per uso personale, tutti contribuiscono al fondo comune. Una sorta di comunismo digitale. Peccato che quel mondo sia morto e sepolto da almeno quindici anni: lo streaming ha mandato in pensione la duplicazione, Netflix ha seppellito i Dvd, Spotify ha trasformato i Cd in sottobicchieri vintage.
Ma la macchina del compenso, imperterrita, continua a macinare soldi come un mulino benedetto: nel 2024 ha raccolto la bellezza di 119 milioni di euro, mentre per il 2025 è attesa una cifra leggermente superiore (121 milioni). Per fare un confronto, l'intero mercato dei Cd musicali italiani vale 21,9 milioni; oltre l’80 per cento del mercato musicale passa ormai per le piattaforme di streaming. In trent'anni di onorata carriera, questo sistema ha ingurgitato oltre 3 miliardi di euro. Secondo un sondaggio di Anitec-Assinform del 2024 il 70 per cento degli italiani non sa nemmeno di pagare questa tassa, nascosta com’è nel prezzo dei dispositivi acquistati. Il meccanismo è sbilanciato anche dal lato della distribuzione, oltre che da quello del prelievo. Nel 2018 c'è stata la "liberalizzazione" del mercato delle collecting, con la fine del monopolio Siae. Un artista può affidare a società terze la gestione (e la raccolta) dei suoi diritti. Ma è sempre e solo la Siae a governare il compenso per copia privata. Nel 2023, i costi di gestione sono arrivati a 5,5 milioni di euro. Ma il capolavoro arriva ora, con l’ultima proposta del Comitato consultivo: se il ministro Alessandro Giuli ne accetterà le proposte, si pagherà anche sui prodotti ricondizionati, senza distinzione se siano stati prima acquistati con il pagamento della tassa, e sul cloud. In un colpo solo si dichiara guerra all’economia circolare e al futuro. Perché innovare quando si può tassare?
Del resto, come ha evidenziato il magazine online DDay.it, promotore di una meritoria campagna per l’abolizione della copia privata, nel Comitato proponente sono rappresentati solo gli interessi di chi incassa: oltre ai delegati dei ministeri della Cultura e delle Imprese, ci sono la Siae, gli autori, i discografici, i lavoratori del mondo dello spettacolo e alcuni “esperti”. Spetta poi al medesimo Comitato trarre le conclusioni della consultazione pubblica: “Come può questo organismo che ha forti connotazioni di parte – si chiede DDay.it – trovare un punto di incontro equilibrato tra posizioni contrastanti?”. Invece di aggiornare il diritto d'autore all'era digitale si preferisce mantenere un’imposta invisibile che alimenta rendite di posizione. E’ più facile spremere i contribuenti che ripensare un sistema nato nell'epoca dei walkman. La tassa nascosta sui nostri dispositivi non è un dettaglio tecnico: è il manifesto di un paese che scambia la protezione dei diritti per rendita parassitaria, l'innovazione per immobilismo.

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