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il dibattito

Gli elogi di Melania Trump all'AI, mentre il mondo Maga si mette di traverso

Stefano Cingolani

I profeti dell'intelligenza artificiale a cena alla Casa Bianca. Per la first lady si tratta di motore del progresso, ma a poche strade di distanza il senatore repubblicano Josh Hawley accusa l'AI di minacciare la libertà. Una nuova guerra civile tecnologica divide la coalizione trumpiana 

L’intelligenza artificiale ha trovato una madrina, ma rischia di perdere il suo padrino. C’erano quasi tutti venerdì 5 settembre a cena alla Casa Bianca, Mark Zuckerberg seduto alla destra di Donald Trump e Bill Gates alla sinistra di Melania. Mancava quello che un tempo era il vero e proprio joker, cioè Elon Musk: dalla rottura non si è più ripreso. Al suo posto Shyam Sankar, cofondatore di Palantir, e Sam Altman di OpenAI. Il vero filo conduttore della serata era proprio l’intelligenza artificiale e la first lady ha rotto la sua nota cortina di silenzio per azzardarsi in una previsione ad alto rischio: “E’ il più grande motore di progresso della storia americana”. Alla faccia del povero Edison e della elettricità, di Henry Ford e dell’auto, dello stesso Gates con il linguaggio che ha portato la rivoluzione digitale a casa di tutti. Si può capire l’enfasi di Melania per una volta che prende la parola per esprimere concetti politicamente impegnativi. Josh Hawley invece non lo capisce e non perdona facilmente. Sempre venerdì a poche centinaia di metri, nel salone di un albergo, il senatore repubblicano del Missouri tuonava contro l’intelligenza artificiale, “la più grande minaccia alla libertà dell’uomo comune”.

Non sono due note di colore. Certo non lo è la cena ufficiale, ma ancor meno l’invettiva scagliata da uno dei più battaglieri megafoni del popolo Maga. Già Steve Bannon si era lanciato contro Zuckerberg e aveva chiesto addirittura che fosse messo in galera. L’ex guru del trumpismo prima maniera, anche lui maghizzatosi ante-marcia, potrebbe sembrare oggi una figura folkloristica. Hawley è diverso. Già procuratore generale del suo stato, avvocato, ben vestito, pulito e sbarbato, il volto di bravo ragazzo della middle class che si sente proletarizzata, schiacciata da Big Tech e Big Money, ha studiato nelle migliori università, prima Stanford poi Yale, ha insegnato brevemente a Londra, ha pubblicato un libro su Teddy Roosevelt e nel 2021 il suo pamphlet, vero e proprio manifesto: “La Tirannia di Big Tech” dove se la prende con Facebook, Google, Amazon, Apple, considerate già loro “la più grave minaccia alla libertà americana fin dai monopolisti dell’età dell’oro”, quelli che sono stati chiamati i robber barons, i ladroni baroni. 

Due eventi lo stesso giorno nella stessa Washington che mostrano chiaramente le lacerazioni all’interno di quella contraddittoria coalizione che ha riportato Trump alla Casa Bianca: i soldi della tecnoelite insieme ai voti di chi si sente tagliato fuori dal fiume del progresso, di questo progresso. All’indomani del successo un politologo conservatore intelligente come Walter Russell Meade aveva sottolineato questo capolavoro politico che teneva insieme due fronti potenzialmente in conflitto. Ora il contrasto è venuto alla luce.

La campagna anti tecno è stata rinfocolata dall’interno dello stesso mondo dell’intelligenza artificiale. Dario Amodei, il fondatore di Anthropic, una start up diventata protagonista dell’IA con la sua Claude rivale di ChatGPT, ha lanciato l’allarme: in cinque anni sarà spazzata via la metà dei posti di lavoro impiegatizi, rimpiazzati proprio dall’IA. Non solo, fatti di cronaca come la morte di Adam Rain, il ragazzo di 16 anni che cercava supporto psicologico da parte del chatbot e si è ucciso, sono stati strumentalizzati dagli iperconservatori. L’intelligenza artificiale porta la morte, istiga al suicidio e via via a montare la protesta. Lo scontro non è solo verbale né si limita ai comizi, alla propaganda, ai libri. Ormai attraversa il Congresso e i partiti politici, i repubblicani come i democratici. Bannon ha convinto un’ala del Grand Old Party a stracciare quella parte del Big, Beautiful, Budget che bloccava gli stati i quali hanno intenzione di introdurre una rigida regolamentazione o lo hanno già fatto. Le imprese di IA hanno chiesto una moratoria e si sono lanciate in una campagna lobbistica, ma hanno trovato una forte reazione contraria. Persino un senatore importante e trumpiano della prima ora come il texano Ted Cruz, che all’inizio era favorevole, ha votato contro. Silicon Valley sta lavorando ai fianchi il Partito repubblicano perché si schieri a suo favore, qualcuno un giorno racconterà quanti bigliettoni verdi stanno circolando. Ma la questione va ben oltre la classica compravendita di favori, ha vaste implicazioni giuridiche ed etiche, è la frontiera politica del nuovo secolo. Melania l’ha capito, alla faccia della bella statuina.