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la mappa
Tutte le mosse e i personaggi del grande romanzo del risiko bancario italiano
Dal blitz di Lovaglio su Piazzetta Cuccia alle mosse di Orcel in Germania, passando per i piani di Giorgetti e Caputi. Così strategie politiche e ambizioni personali disegnano la mappa del potere finanziario italiano ed europeo
Mediobanca, l’ex salotto buono della finanza italiana, ha un nuovo azionista di riferimento e forse (si saprà nei prossimi giorni) anche di controllo: l’ex banca disastrata Mps. “Sono contento che si sia rimessa in sesto”, ha dichiarato a Cernobbio il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros Pietro, anche perché, ha aggiunto sibillino, “quando una banca va male alle altre banche tocca salvarla”. Davide è riuscito a sconfiggere Golia. Come sia stato possibile si può riassumere attraverso le storie e le mosse dei protagonisti di un riassetto che per giochi di potere, intrecci finanziari e strategie politiche ha una trama a metà tra House of Cards e un romanzo epico. L’epilogo, in ogni caso, è il ritorno dello stato nelle banche. E la conquista di Piazzetta Cuccia da parte di Montepaschi, di cui il Mef è azionista, chiude solo la prima serie. Altri sviluppi sono all’orizzonte: il possibile coinvolgimento di Banco Bpm nel terzo polo caro al governo Meloni e la prossima battaglia per il controllo di Generali su cui, per ora, è calato un silenzio tattico.
Orcel in Germania come Scipione l’Africano
Ma a garantire la suspence è sempre lui: Andrea Orcel, ad di Unicredit, il predatore di banche. Ha dovuto prendersi una pausa forzata – eccetto l’incursione greca su Alpha Bank - dopo essere stato costretto dal governo italiano a rinunciare a Banco Bpm, ma è pronto a tornare alla carica. Qualcuno lo paragona a Scipione l’Africano, il grande condottiero romano (come Orcel) che fu capace di rovesciare i pronostici vincendo contro il generale Annibale nella campagna d’Africa. Dalle parti di Gae Aulenti ne sono convinti: Unicredit la spunterà in Germania con Commerzbank. Troppo ottimismo? Qualche segnale c’è. In settimana Orcel, per di più durante un convegno promosso dal quotidiano tedesco Handelsblatt, ha annunciato che per fine anno arriverà a detenere il 30 per cento di Commerzbank: è la soglia oltre la quale sarà obbligato per legge a lanciare l’offerta pubblica di acquisto o di scambio. Insomma, ormai in Germania la mossa finale se l’aspettano e in quel caso sarebbe il mercato a decidere. Pazienza se il governo federale di Friederich Merz è contro l’iniziativa italiana. Orcel ha già pronto l’asso nella manica: se l’offerta sarà lanciata, avverrà attraverso la controllata tedesca Hypovereinsbank. Insomma, sarebbe un’operazione domestica e a decidere sarebbe il mercato. Per contrastarla Merz dovrebbe imitare Giorgia Meloni e chissà se si spingerà fino a tanto. Classe 1963, romano, laureato alla Sapienza con una tesi, manco a dirlo, sulle scalate ostili, sposato con la portoghese Clara Batalim, Orcel è – in questa epopea di banchieri italiani – quello con il profilo più internazionale avendo lavorato, fino a quando ha preso le redini di Unicredit nel 2021, quasi sempre all’estero con ruoli di responsabilità in grandi banche d’affari (Ubs, Merril Lynch, Santander).
Messina grande pacificatore?
Forse per questo non ha visto arrivare quel “mondo nuovo” – in cui credito e risparmio sono questioni di interesse nazionale e i governi vogliono contare – così ben descritto dal suo principale competitor in Italia, Carlo Messina, ad di Intesa Sanpaolo, il banchiere “di sistema” che ha definito il risiko un “far west”, ma che forse, così si vocifera, vestirà i panni di grande pacificatore nella partita finale su Generali. La compagnia assicurativa è guidata dal manager francese, ma con cittadinanza italiana, Philippe Donnet, in sella dal 2016 e sostenuto da una Mediobanca che, però, sta cambiando pelle. Qualche sviluppo ci sarà, forse già nel 2026. Con Messina, poi si è scoperto, Orcel condivide grandi spaghettate “cacio e pepe”, ma in realtà i due manager sono molto diversi: misurato e diplomatico il primo, dinamico e spregiudicato il secondo al punto da ingaggiare un testa a testa con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.
Giorgetti come von Karajan
Quest’ultimo, prima “banchiere centrale” della Lega e poi tesoriere prudente del governo Meloni, di carattere schivo, ha rivelato un’inattesa inclinazione a vestire i panni del direttore d’orchestra del risiko (più simile all’austriaco Herbert von Karajan che all’italiano e milanese Claudio Abbado) perché le banche “devono tornare a fare il loro mestiere”, che nella sua visione vuol dire fare più credito alle famiglie e alle imprese e smettere di pensare troppo a dividendi. Difficile pensare che nei nuovi tentativi dell’esecutivo di costringere gli istituti di credito a versare più tasse non ci sia anche il suo zampino. Giorgetti e le banche: un rapporto di amore e odio, meriterebbe una puntata a parte.
Caputi Richelieu del risiko
Nel dirigere il traffico delle operazioni in modo anche apertamente parziale (il responsabile economico del Pd, Antonio Misiani, per esempio, ha accusato il governo di averne ostacolato alcune, Unicredit-Bpm, e favorito altre, Mps-Mediobanca) il ministro si è mosso in tandem con il capo di gabinetto di Giorgia Meloni, Gaetano Caputi: il Richelieu del risiko. Come il potente cardinale e politico, perseguì il rafforzamento della monarchia francese favorendo la centralità e l’influenza del re (Luigi tredicesimo), noncurante delle proteste dei nobili, Caputi, formazione giuridica e profilo da amministratore pubblico, ha lavorato dietro le quinte per stabilire la supremazia del governo Meloni nel riassetto di potere che ha riguardato il settore bancario. In questo si è allineato ai governi di tutta Europa che stanno aumentando la presa sul sistema bancario che oggi, più di ieri, è la vera leva strategica di un paese. Così facendo, però, lui e Giorgetti hanno mostrato disinteresse per un rafforzamento europeo che passa attraverso una maggiore integrazione bancaria necessaria a fronteggiare la crescente concorrenza dei colossi americani.
Nagel sconfitto, verso nuovi incarichi
Palazzo Chigi a questo discorso sembra impermeabile e proprio con la consulenza di banche d’affari estere, la svizzera Ubs e la statunitense Jp Morgan, ha sostenuto la scalata di Montepaschi all’italiana Mediobanca. Ora che i giochi si stanno per chiudere, è emerso che Ubs ha il 5 per cento del Monte e uno degli uomini chiave di Jp Morgan, nonché ex ministro, Vittorio Grilli, spunta tra i candidati a sostituire Alberto Nagel alla presidenza di Mediobanca. Dal canto suo, anche Nagel, il “professore” delle banche, lo stratega dell’alta finanza italiana, avendo guidato quasi tutte le grandi operazioni degli ultimi decenni, è sembrato spiazzato dal mondo nuovo. Ha continuato a difendere la fortezza di Piazzetta Cuccia con argomenti di mercato, redditività e dividendi, creazione di ricchezza per agli azionisti etc. quando dall’altro lato avanzava una corazzata formata da due grandi soci come Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Milleri, in rappresentanza degli eredi Del Vecchio, imprenditori affermati e ambiziosi scalatori, che da anni chiedono maggiore spazio nella governance di Mediobanca-Generali, senza ottenerlo, e questa volta sono riusciti a inserirsi in un disegno politico in linea con i tempi che cambiano e capace di orientare le scelte di altri soci. In futuro, Nagel, secondo alcuni rumors, potrebbe andare a ricoprire l’incarico di senior advisor di una grande banca internazionale o di un fondo di investimento. Se così fosse, la sua esperienza e le sue relazioni sarebbero messe a servizio di una realtà estera. Sono gli effetti collaterali della formazione di un nuovo assetto di potere finanziario, in cui il favore del mercato, che a Nagel non è mai mancato, si confronta con interessi di carattere più generale di cui questo governo intende farsi interprete.
Lovaglio insospettabile Batman
Lo ha capito prima di altri l’insospettabile Luigi Lovaglio, il front-man della scalata a Piazzetta Cuccia. Lovaglio ha forse anche superato le aspettative di Mario Draghi, che nel 2022, verso la fine del suo governo, lo volle a capo del Montepaschi sull’orlo del collasso contando sulla sua esperienza di banchiere-risanatore ma anche sul suo carattere granitico. Ha sempre tenuto un profilo basso e il paradosso è che tre anni fa si è fatto aiutare proprio da Nagel per mandare in porto la ricapitalizzazione del Monte che sembrava impossibile. Figurarsi la sorpresa a Piazzetta Cuccia quando i primi di gennaio è arrivata l’ops da Siena: Lovaglio era come uscito dalla Batcaverna per lanciarsi inaspettatamente sulla roccaforte finanziaria meneghina. Ma per entrare a pieno titolo nel mondo dei Supereroi dovrà vincere la sfida dell’integrazione tra una merchant bank e una banca commerciale che non è priva di rischi come l’agenzia di rating Fitch ha già avvertito.
Castagna verso il terzo polo?
Intanto, come in tutte le battaglie, c’è chi ha resistito all’assedio: Giuseppe Castagna, il manager venuto dal Sud (ex Banco Napoli) che ha difeso strenuamente la più nordica delle banche dalle mire di conquista del gigante Unicredit (ha superato 100 miliardi di capitalizzazione). La sua lotta per l’indipendenza dell’istituto milanese in futuro dovrà misurarsi con l’ambizione di Palazzo Chigi di allargare in confini del terzo polo a trazione Mps. Solo che in Bpm un azionista forte già c’è ed è Credit Agricole con il 20 per cento e pronta a salire ancora. Castagna fino ad oggi è stato un po’ “l’eroe dei due mondi”, destreggiandosi tra Milano e Roma, sicuramente meglio di quanto abbiano fatto Nagel e Orcel, e intanto si è assicurato Parigi come sponda esterna. In una delle prossime puntate sarà sicuramente lui di nuovo protagonista.


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