
Foto Ansa
l'analisi
Tassare gli extraprofitti delle banche non aiuta famiglie e imprese. Falsi miti da sfatare
L’idea di colpire i ricavi eccezionali degli istituti di credito si fonda su assunti sbagliati. Una simile misura rischia di frenare gli impieghi, penalizzando cittadini e aziende
Ogni anno, all’avvicinarsi della preparazione della legge di bilancio, vengono ventilate diverse proposte per cercare di aumentare il gettito fiscale. Una delle ipotesi che ha raccolto un certo interesse negli ultimi anni è l’imposizione di una tassa sui cosiddetti “extraprofitti” delle banche. La tassa viene motivata con due argomenti. Il primo è che gli utili del sistema bancario sono recentemente aumentati in modo straordinario, dopo la risalita dei tassi d’interesse decisa dalla Bce per contrastare l’inflazione. Sono dunque guadagni non meritati, perché dovuti a fattori esogeni. Il secondo argomento è che il sistema bancario beneficia di una garanzia implicita dello stato, che in caso di crisi interviene per salvare le banche in difficoltà. In cambio di tale garanzia, è normale tassare le banche quando producono utili elevati. Entrambi gli argomenti sono infondati.
Innanzitutto, è necessario stabilire dei criteri oggettivi per qualificare un profitto come “straordinario” e distinguerlo da ciò che è, invece, “ordinario”. Per paragonare la redditività delle aziende viene generalmente usato il criterio della redditività del capitale, il cosiddetto RoE (Return on Equity). Prendendo le prime 20 aziende italiane quotate in Borsa, il RoE medio del 2024 è stato pari a 15,25 per cento. Le sei banche che fanno parte di questo insieme hanno avuto una redditività media del 15,56 per cento e le altre quattordici aziende non bancarie del 15,12 per cento. La redditività mediana è stata del 13,25 per cento nel comparto bancario contro il 13,34 delle altre aziende. Questi dati mostrano che la profittabilità del settore bancario è stata sostanzialmente simile a quella delle altre imprese italiane. Le banche non hanno fatto extraprofitti. Di sicuro, la redditività bancaria è migliorata rispetto a qualche anno fa. Nel 2022 il RoE medio delle sei banche era pari all’11,5 per cento, ben inferiore al 16,9 per cento delle altre principali imprese quotate. Il recupero dell’ultimo biennio recente rappresenta un ritorno verso una situazione comparabile al resto del sistema, dopo anni di utili relativamente bassi in Europa.
Un’analisi più fine suggerirebbe di confrontare la redditività del capitale non solo tra settori ma anche rispetto al costo del capitale, che rappresenta il rendimento minimo che un’azienda deve offrire ai propri azionisti per compensarli dei loro investimenti. Nel settore bancario il costo del capitale è più elevato della media degli altri settori, soprattutto in Europa, principalmente a causa dell’incertezza regolamentare e fiscale. Ciò rafforza la conclusione che la recente redditività bancaria, seppur migliorata, non è fuori norma.
Quanto alle garanzie pubbliche di cui beneficerebbe il settore bancario, è importante ricordare che dal 2014, con la creazione dell’Unione bancaria in Europa, le banche europee di dimensioni rilevanti contribuiscono direttamente, ogni anno, alla creazione del Fondo di risoluzione europeo, che serve in caso di crisi per ricapitalizzare le banche in difficoltà. Questo è stato fatto proprio per evitare il ricorso ai fondi pubblici. Al di là delle motivazioni inconsistenti, il vero problema sul quale non sembrano aver riflettuto a sufficienza i proponenti della tassa sugli extraprofitti delle banche riguarda l’effetto di tale misura sull’attività bancaria e sull’economia in generale. La speranza è che una tassa sugli utili, o sul riacquisto di azioni proprie, possa spingere le banche a destinare meno utili gli azionisti e a erogare invece più credito all’economia. Nel settore bancario vi è infatti una correlazione diretta tra la dimensione del bilancio e il capitale disponibile. Più elevato è il capitale di cui dispone una banca, oltre il minimo regolamentare, e più il suo bilancio può crescere, ossia più prestiti possono essere erogati alla clientela. Tuttavia, questa correlazione dipende da una condizione fondamentale, spesso dimenticata dai regolatori e dagli accademici, oltre che dai policy maker: la redditività degli impieghi bancari deve essere adeguata per compensare il costo del capitale. In caso contrario, se la redditività è insufficiente, il sistema bancario tende a ridurre il proprio bilancio e ad accumulare capitale in eccesso da restituire ai propri azionisti.
La tassazione straordinaria degli utili bancari (o del riacquisto di azioni) produce proprio questo effetto negativo in quanto riduce la redditività dell’attività bancaria, aumenta il costo del capitale delle banche e crea una distorsione rispetto al capitale investito in altri settori. Questo spinge le banche ad agire in modo opposto a quello desiderato, ossia ad aumentare la percentuale degli utili destinati ai dividendi – talvolta fino al massimo del 100 per cento – e a ridurre la dimensione del loro bilancio per accantonare capitale in eccesso da restituire agli azionisti. In altre parole, più si tassano i dividendi bancari e più le banche hanno un incentivo a contrarre la loro attività e a ridurre i prestiti alle famiglie e alle imprese. Forse non è ciò di cui ha bisogno l’economia in questo momento.


la regolamentazione
Il nuovo Codice della crisi d'impresa soffoca le startup innovative

Editoriali