Christine Lagarde (LaPresse)

L'editoriale del direttore

L'economia dell'Ue ricorda agli utili idioti di Putin che difendere Kyiv non è solo giusto: è anche sostenibile 

Claudio Cerasa

L’occupazione degli europei aumenta. E con essa aumenta anche l’unica disoccupazione accettabile per i difensori della libertà: quella degli anti europeisti, confusi, senza argomenti, e per questo pericolosi, e disposti a tutto pur di trovare un modo per far parlare ancora di sé

Il governo italiano, lo avrete visto, da due giorni offre in pasto ai giornalisti un dato effettivamente incoraggiante certificato dall’Istat. Il dato parla chiaro: a luglio 2025 gli occupati in Italia hanno raggiunto quota 24 milioni e 217 mila unità, con 218 mila occupati nel corso di un anno, e il tasso di occupazione è arrivato al 62,8 per cento, facendo registrare il numero più alto di sempre di occupati. Il dato, che parla chiaro, è importante per l’economia italiana, ma il dato è importante anche per l’economia europea, e in verità, se si presta attenzione alle statistiche, si capirà rapidamente che quello che è presentato, comprensibilmente, come un successo italiano è, in verità, prima di tutto un successo europeo.

 

L’occupazione sale in Italia, certo, ma sale da molto tempo anche in Europa, e nel secondo trimestre del 2025, nell’Ue a 27, il tasso di occupazione ha toccato il livello più alto mai registrato nella serie storica europea, arrivando al 76,1 per cento. Il dato, come è evidente, è importante, perché ci aiuta a contestualizzare il risultato italiano. Ma il dato, cosa meno evidente, è importante anche per un’altra ragione, perché ci aiuta a mettere a fuoco un tema che, quando si parla d’Europa, viene spesso posto in secondo piano. C’è stato un tempo, non troppo remoto, in cui, lo ricorderete, le quinte colonne del putinismo, in Italia e in Europa, sostenevano che l’Europa non potesse permettersi, dal punto di vista economico, di sostenere per troppo tempo la resistenza dell’Ucraina e di agire in modo severo per sanzionare la Russia. Si diceva, e lo diceva anche Matteo Salvini, nel 2022, che la “maledetta guerra che hanno scatenato nel 2022 è stata un disastro planetario, però se faccio delle sanzioni per mettere in ginocchio l’aggressore e faccio soccombere la nostra economia, qualche riflessione va fatta”.

 

La narrazione era semplice: non colpiamo troppo la Russia perché altrimenti l’economia europea potrebbe soffrirne, non sanzioniamo troppo Putin perché altrimenti il benessere europeo potrebbe esserne colpito. I dati sul lavoro, sul lavoro italiano e sul lavoro europeo, sono la spia di una contronarrazione necessaria, doverosa, rispetto alla quale oggi si può dire che aver difeso l’Ucraina, da parte dell’Europa, sanzionando la Russia, con tutti i mezzi necessari, non è stato solo giusto, sacrosanto, doveroso, ma è stato anche sostenibile dal punto di vista economico. Salvini sosteneva, aperte virgolette, che “le sanzioni alla Russia sarebbero state inutili se non dannose per Italia e Ue”, senza sapere che già nel 2022 le esportazioni verso la Russia rappresentavano solo l’1,5 per cento del totale delle esportazioni italiane.

 

Tre anni dopo quelle dichiarazioni è sufficiente consultare l’ultimo bollettino della Banca centrale europea per capire che l’Europa, durante i mesi in cui ha sostenuto con tutte le sue forze l’Ucraina, non ha solo difeso i confini della democrazia ma ha difeso anche il benessere della nostra economia. Dopo tre anni di sostegno all’Ucraina, la disoccupazione è ai minimi storici (5,9), il pil è in buona salute (le ultime proiezioni sul 2025 sono vicine al più 1,6 per cento), le esportazioni extra Ue dell’Europa continuano a essere solide (in crescita del 4,4 per cento rispetto al 2024), l’inflazione è rientrata sotto i livelli di guardia (al 2 per cento), la sicurezza energetica non è mai stata in discussione (il target del 90 per cento degli stoccaggi pieni in Europa è stato centrato il 19 agosto 2024), i salari reali sono in recupero (la crescita nominale delle retribuzioni a luglio si è attestata attorno al 4 per cento) e le sanzioni europee hanno fatto così male alla Russia (nel 2023 Gazprom ha registrato la prima perdita netta in vent’anni: circa 7 miliardi di dollari, dovuta al crollo delle vendite in Ue e alla necessità di vendere a prezzi scontati in Asia) da aver spinto Putin a considerare la rimozione delle sanzioni europee come una delle clausole principali da mettere in campo per poter aprire una trattativa di pace.

 

Le quinte colonne del putinismo in Europa, che sono poi le stesse quinte colonne del trumpismo in Europa, chiedevano di difendere l’Ucraina con un braccio dietro la schiena per evitare di indebolire l’economia europea. Tre anni dopo, con molta sofferenza, con molti sacrifici, si può dire che sia successo l’opposto. L’Europa ha fatto tutto il necessario per difendere l’Ucraina, per sostenere la democrazia, per difendere la libertà, e il suo sforzo non è stato solo giusto ma è stato perfettamente compatibile con la difesa della sua economia, minacciata oggi da tutti coloro, Trump in primis, che considerano l’Europa pericolosa proprio per la sua forza economica e le sue eccellenze industriali. L’occupazione degli europei aumenta. E con essa, giorno dopo giorno, aumenta anche l’unica disoccupazione accettabile per i difensori della libertà: quella degli anti europeisti, spaesati, desolati, confusi, senza argomenti, e per questo pericolosi, e disposti a tutto pur di trovare un modo per far parlare ancora di sé.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.