Claudio Durigon (Foto Ansa)

l'analisi

Costose e inefficaci. Le due proposte di Durigon sulle pensioni

Marco Leonardi

Le idee del leghista riguardo il blocco dell’aumento dell’età e l’uso del Tfr hanno dei visibili problemi. Una è costosa e regressiva, l’altra inefficace e rischiosa per lavoratori e imprese

Per capire la discussione estiva sulle pensioni, in particolare la proposta di bloccare l’aumento previsto di tre mesi per accedere a pensione e la proposta del sottosegretario Claudio Durigon di permettere di usare il Tfr per accedere alla pensione contributiva a 64 anni, bisogna fare una premessa: siamo ancora per una decina di anni in una fase di transizione tra il sistema misto e quello contributivo puro. Per anticipare l’uscita dal lavoro nel sistema misto si sono seguite finora due filosofie opposte. La prima, quella di favorire  platee circoscritte e svantaggiate – con strumenti come Ape sociale, Ape volontaria,  pensione per i lavoratori precoci   – che garantivano un’uscita anticipata mirata, senza alterare la sostenibilità del sistema. La seconda, portata avanti dalla Lega, di cercare in tutti i modi di superare la riforma Fornero e concedere l’anticipo a tutti con le quote 100, 102, 103 e ora con il blocco dei tre mesi e l’uso del Tfr. 

Il blocco dei tre mesi dell’adeguamento all’aspettativa di vita rappresenta un costo diretto e certo (2-3 miliardi) che va ad aumentare la spesa pensionistica già oggi tra le più alte d’Europa. La proposta sul Tfr, invece, non ha ancora una quantificazione, ma porta con sé molti problemi. Il Tfr non è un fondo previdenziale: è salario differito, accantonato dalle imprese come riserva di liquidità e dai lavoratori come liquidazione o risparmio per esigenze straordinarie (casa, salute, eventi della vita) oppure da conferire alla previdenza complementare. Per le pmi  è un polmone di finanziamento da 15 miliardi. Legarlo alla pensione, come immagina Durigon, significa snaturarne la funzione. Giuliano Cazzola ha ricordato più volte che il Tfr non è previdenza, ma parte della retribuzione: utilizzarlo come “chiave” per l’anticipo pensionistico rischia di privare i lavoratori e le famiglie di una sicurezza importante, senza garantire un vero beneficio previdenziale.

C’è poi un limite strutturale: il Tfr ammonta a un mese di salario per ogni anno di lavoro, non basta a colmare il vuoto contributivo. Trasformare questo accantonamento in rendita previdenziale è illusorio: non si ottiene una pensione più alta, ma solo un anticipo parziale che impoverisce il futuro del lavoratore e toglie liquidità  alle imprese. Comunque il costo per lo stato non sarebbe irrilevante perché in molti casi si tratterebbe di anticipare di 3 anni la pensione (da 67  a 64 anni). Inoltre, l’idea di sommare il Tfr per superare la soglia minima di 2,8 volte l’assegno sociale (circa 1.700 euro mensili) è una forzatura contabile: la soglia era stata introdotta come garanzia di sostenibilità del contributivo. Ma tutti sanno che quando nel 2035 entrerà in vigore il sistema contributivo quella soglia dovrà scendere (quando fu istituita la soglia era 1,2 volte l’assegno sociale, circa 650 euro) e bisognerà dare una pensione di garanzia a chi non ha accumulato contributi sufficienti. Il principio base del contributivo è infatti che puoi andare in pensione prima se accetti una pensione minore, ma non è pensabile che chi ha lavorato per 40 anni non possa uscire prima perché non raggiunge la soglia di 1.700 euro al mese di pensione oppure abbia una pensione di 500 euro, mentre chi non ha mai lavorato abbia una pensione sociale di 538 euro al mese. Usare il Tfr per far superare ora la soglia di 1.700 euro di pensione a chi sta ancora nel sistema misto ha poco senso. 

Così la proposta diventa un’illusione elettorale per superare il 2027 potendo dire di aver fatto qualcosa sulle pensioni. Non affronta i nodi strutturali – pensione di garanzia, correzioni per bassi redditi, nuove soglie più realistiche – ma alimenta l’idea che esistano scorciatoie semplici. Il sistema contributivo, con i suoi incentivi a restare al lavoro più a lungo, è già la vera garanzia di sostenibilità: il compito della politica è costruire gli strumenti per rendere accettabile questa transizione, non inventare trucchi temporanei.

Cosomai, la proposta più ragionevole sul Tfr – visto che si tratta di un istituto solo italiano – sarebbe quella di trasformarlo in salario, restituendolo cioè interamente ai lavoratori come parte della busta paga. Se invece deve servire a finanziare un’uscita anticipata, in attesa di capire i costi e come si risolvono tutti i problemi di cui sopra (le emergenze e la prima casa per i lavoratori, il polmone di liquidità per le imprese, la previdenza complementare), allora che almeno sia pensata come sostitutiva del blocco dei tre mesi, evitando un doppio onere per i conti pubblici. Se invece fosse aggiuntiva, significherebbe mettere insieme due pessime proposte: una costosa e regressiva, l’altra inefficace e dannosa.

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