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la questione settentrionale
Sanare le fratture territoriali, investire, fare squadra. Il “ritorno” di Milano nel nord passa da qui
L'inchiesta sull'urbanistica del capoluogo ambrosiano è solo l'ultimo tassello di un indebolimento dell'azione delle amministrazioni settentrionali. Servono investimenti, infrastrutture e una riconnessione tra istituzioni e territorio
Milano è ancora parte del nord? Nel recente articolo sul Foglio, Carlo Stagnaro scrive che la città ha cercato una via di uscita individuale e che il processo di cambiamento che ha segnato il capoluogo ha prodotto un distacco con il resto del nord con una crescita esclusiva e non inclusiva. Mi pare che questa affermazione, che presenta non poche ragioni, meriti però qualche riflessione aggiuntiva. E’ indubbiamente vero che Milano si è dotata di una traiettoria di sviluppo peculiare e fatica a viversi come parte di un composito sistema di sviluppo a medio e lungo raggio, forse scontando una certa presunzione di potercela fare da sola. L’intervento di Giorgio Gori, sempre sul Foglio, fotografa perfettamente questa sua tendenza e la necessità di un sistema di poteri che accompagni e integri il suo sviluppo con i territori circostanti. Al tempo stesso credo vada rilevato come le contraddizioni che riguardano le regioni del nord siano le stesse che attraversano la città e la sua fase.
Innanzi tutto, esiste un’enorme carenza di autonomia di manovra, sia in materia di carattere impositivo fiscale che di governance istituzionale. In secondo luogo, gli ingenti investimenti privati coesistono con una debole iniziativa pubblica di investimento in ricerca e sviluppo e una difficoltà strutturale nel reclutamento di persone formate per la domanda di produzione di beni e servizi.
Ritengo che il principale problema del rapporto tra Milano e il nord sia che è venuto meno il senso dello scambio che per alcuni decenni ha caratterizzato la differenziazione di specializzazione tra i territori. Storicamente, infatti, la città era il luogo della finanza e dell’alta specializzazione, mentre i territori circostanti erano il luogo del lavoro, della manifattura, dell’artigianato specializzato e della produzione agricola. La stagnazione prima e oggi la crisi della grande manifattura, il trasferimento nella produzione di valore verso i servizi e il terziario, hanno portato maggiori quote di occupazione e di valore aggiunto a trasferirsi dall’hinterland verso la città rompendo quel patto. Di fatto a Milano si è trasferita buona parte della produzione lasciando ai territori circostanti, in particolare il suo hinterland, la funzione di polmone abitativo per le esigenze dei lavoratori. Poco, troppo poco per essere la base di un nuovo patto sociale, un equilibrio squilibrato che fa vivere Milano come una realtà che drena sviluppo a danno dei territori circostanti.
Inoltre lo sviluppo dei settori terziari che ha rafforzato Milano negli anni più recenti ha caratterizzato, seppur su diversa scala, anche gli altri capoluoghi di provincia del nord. Si sono così create le condizioni per uno sviluppo multipolare del nord, non più concentrato sulla sola Milano; un riscatto dei medi centri, interessanti e riuscite alleanze come Bergamo e Brescia capitali della Cultura e una crescente separazione tra gli integrati cittadini delle città progressisti e ottimisti e gli apocalittici cittadini dei piccoli centri, conservatori e identitari, spaventati dal rischio che il progresso tolga spazi di libertà e di benessere. Così, il nord, da realtà compatta rappresentabile da interessi uniformi e alleati tra loro, si è trasformato in un mondo composto da una varietà di posizioni e interessi, spesso in contrasto. Milano ha finito per rappresentare uno specifico modello di sviluppo, non più integrato nel contesto circostante, risultando di fatto incapace di rappresentare l’intera questione settentrionale e priva di strumenti legislativi che potessero aiutare a colmare le fratture geografiche attorno a sé.
Questa frammentazione ha fortemente indebolito il nord, che si trova a sostenere un feroce attacco al suo modello di sviluppo. L’incremento dei dazi, come ben descritto da Dario Di Vico, assesta un ulteriore duro colpo alla manifattura. A ciò si aggiunge il trasferimento, discusso dalla Commissione europea, della gestione dei fondi europei dalle regioni al livello statale, che significherebbe la fine del ruolo strategico delle regioni. Inoltre, le norme nazionali sulla distribuzione elettrica che hanno prolungato le concessioni agli attuali detentori, in cambio di investimenti pagati dai consumatori, hanno cancellato, insieme alla concorrenza, la possibilità per il sistema delle partecipate pubbliche del nord di poter concorrere a servizi di natura locale e regolata. Il coesistente attacco del risiko bancario agli istituti finanziari del nord, poi, impatta sia l’occupazione che gli spazi di autonomia dei territori. Di fatto, come rilevato dal presidente dell’Emilia-Romagna, Michele De Pascale, la fine del dibattito sull’autonomia differenziata, condizionato da pesanti errori di Roberto Calderoli e della Lega (appunto, ex nord), assieme ai rilievi della Corte costituzionale, ha contribuito alla fine di una sana discussione sugli spazi di autonomia che offrirebbero risposte strutturali ai bisogni di lavoratori imprese e professionisti. Le inchieste sull’urbanistica di Milano, infine, sono l’ultimo tassello di un indebolimento dell’azione delle amministrazioni settentrionali e pongono di fatto Milano sullo stesso piano delle altre realtà amministrative.
Potrà ciò riportare Milano nel nord e la questione settentrionale a riaffermarsi lontano dal folclore leghista e in una dinamica sociale e di responsabilizzazione delle istituzioni? In primo luogo, la risposta a questa domanda sta nella capacità del capoluogo ambrosiano di riconnettersi con le sue filiere produttive e lavorare per investire in infrastrutture che riducano le fratture territoriali che si sono generate. Un secondo aspetto è offerto dalle opportunità di un ritorno degli investimenti in manifattura nel territorio nazionale, dovuti alla crisi della globalizzazione, al reinsediamento di una nuova manifattura di qualità che renderà conveniente e utile unire i centri di alta specializzazione presenti e diffusi nelle città medie e grandi con una produzione diffusa nei territori. Da ultimo, ma è forse questa la condizione più importante, questa possibilità dipenderà dalla capacità di fare squadra delle classi dirigenti per promuovere uno sviluppo ordinato, superando le bandierine sull’autonomia e promuovendo una responsabilizzazione delle istituzioni credibile e di sistema.