
New York Stock Exchange (AP Photo/Richard Drew)
La calma dei mercati
Eppure la Borsa va benone. Il paradosso dei mercati felici in tempi apocalittici
Guerre, carestie, democrazie in bilico. E poi riscaldamento climatico, denatalità e naufragi. Viviamo tra presagi maligni, ma mentre il mondo brucia, sui mercati domina un irrazionalismo calcolante al di là del bene e del male
La calma dei mercati, un po’ su un po’ giù ma su una linea ascensionale di ottimismo, è agghiacciante. Percepiamo tutti uno sfondo apocalittico nelle cose del mondo contemporaneo, non c’è ombrellone consumo Ferragosto che tengano. Nei media la realtà si riproduce come coscienza infelice della cattiveria e della bruttura e della pura forza scatenata. Guerra in Europa, tre anni, pogrom, guerra a Gaza, due anni, focolai di disperazione e carestia da ogni parte in Africa e in Asia, migrazioni potenti e inarrestabili, naufragi della civiltà, delle persone, dei bambini e delle madri, il disequilibrio è sovrano, le democrazie in bilico, gli autocrati si danno convegno in un clima di aspra sfiducia, il riordino del commercio internazionale è altamente conflittuale, ballano subcontinenti, paesi afferrati alla giugulare da un impero bizzarro e imprevedibile della sfida alla globalizzazione. La realtà riprodotta è ravvicinata, incombente, striscia ogni minuto come un mostro immaginario nei nostri mezzi di connessione, si gonfia di profezia climatologica sulla casa che brucia di riscaldamento, soffre di denatalità, con la pena dell’invecchiamento, della cura e del diritto di vivere o di morire come chiacchiera.
La cronaca ordinaria diventa presagio maligno. Però la Borsa va benone, materie prime e azioni superano ogni scossone fino a ora in una quiete sorniona da pace stabile. Si evocano bolle finanziarie e tempeste, ma sono cose di là da venire, i debiti sono così grandi che reaganianamente badano a sé stessi. I mercati, che dovrebbero essere per lo meno un indice realista, concreto, vivono nell’astrazione di un mondo parallelo. Sembrano uno Schopenhauer da Wikipedia, “l’essenza interna di ogni cosa: un’azione cieca, inconscia, senza scopo, priva di conoscenza, aspaziale e atemporale e libera da ogni molteplicità”. Sembrano quella volontà soggettiva che fonda il mondo della realtà come rappresentazione, come fenomeno, ciò che è solido come il dolore, il disastroso che è fuori di noi, rifluisce tragicamente nella nostra visione liquida, di mercato. I valori, i prezzi sono lì che ci guardano, in un clima da terza guerra mondiale, e si compiacciono della loro tenuta.
In una vecchia e gloriosa intervista al Foglio, il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo rispose così alla domanda su quanti siano nel mondo i fedeli ortodossi: “Mi dicono coloro che si occupano di numeri che siamo circa trecento milioni”. Da osservatore non economista potrei osservare che i tecnici della finanza internazionale e dell’economia reale, “coloro che si occupano di numeri”, avranno certamente una o più risposte a spiegare il fenomeno. Ma l’algoritmo è un mistero a sé stesso, probabilmente. Numeri e dati si maneggiano da soli. Sanno e non sanno del loro incredibile relax. Una persona ironica che conosco alla domanda su come si serva dell’Intelligenza Artificiale risponde: “Mi serve per scrivere le lettere di condoglianze”. Serve anche ad altro, credo, e non solo a fare i giornali, come qui abbiamo diligentemente dimostrato.
I mercati sono stati per decenni calore e raffreddamento, furono intrisi di disprezzo e compassione, agirono nel senso della depressione e del boom mescolandosi alla guerra e alla pace, alla vita e alla morte quotidiana dei sommersi e dei salvati, sembravano strumenti nelle nostre mani per capire. Il loro celebrato cinismo era un buon viatico per l’interpretazione politica e sociale, per il giudizio culturale su regressione e progresso. Ora non scelgono più cinicamente tra bene e male, conoscendoli entrambi, ora sono un irrazionalismo calcolante al di là del bene e del male.