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Editoriali

L'auto dazio del Mef sull'Ires premiale

Redazione

La barzelletta di una norma che aspetta da sette mesi di diventare realtà. Appello

 

Sì, lo sappiamo, ci stiamo ripetendo. Ma anche il governo purtroppo si ripete: da più di sette mesi, nel non fare nulla, su questo punto. La famosa Ires premiale – quella al 15 per cento per chi assume e reinveste – è stata approvata con la legge di bilancio. Una delle poche misure sensate. Ma è rimasta lì: inapplicata, inattuata, invisibile. I decreti attuativi non ci sono. E senza quelli, la norma non esiste. Il Ministero dell’Economia, che dovrebbe scriverli, su questo fa scena muta. Il viceministro Maurizio Leo, che della misura è il primo sponsor, è scomparso. Peccato, perché questa non è una norma qualsiasi. L’Ires premiale è una di quelle scelte che aiutano davvero le imprese: non distribuisce bonus a pioggia, ma taglia le tasse solo a chi crea lavoro o investe i profitti per crescere. E' un modo intelligente per incentivare chi fa impresa non per speculare, ma per costruire. E' la differenza tra una politica fiscale che spinge l’economia e una che la guarda da lontano.

Nel frattempo, il dibattito pubblico si occupa di tutt’altro. E l’unica misura strutturale per la competitività rimane bloccata per inerzia. Nessun ostacolo politico, nessuna bocciatura europea, nessuna opposizione ideologica: solo la burocrazia che si inceppa e il governo che si dimentica di governare. E' un’autosanzione, un autodazio, un’autofiguraccia. Pagata da chi vorrebbe investire, ma aspetta regole che non arrivano. Il messaggio è chiaro: in Italia anche le buone idee si perdono per strada. E la cosa più surreale è che, tra qualche mese, gli stessi che hanno dimenticato l’Ires premiale ci racconteranno che serve un grande piano per la crescita. Magari pure a costo zero. Magari con qualche taglio selettivo alle tasse. Magari, chissà, proprio come l’Ires premiale.

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