I dazi in tribunale

Imprese americane contro Trump. Intervista a Ilya Somin, il giurista che le rappresenta

Rosamaria Bitetti e Federico Morganti

La guerra dei dazi finisce in tribunale: sfida al presidente sull’International Emergency Economic Powers Act del 1977, il cui uso è contestato da imprese e giuristi. Per il professore di Diritto alla George Mason University, la battaglia potrebbe arrivare fino alla Corte Suprema e segnare un limite al protezionismo americano

Se il mondo sembra costretto ad arrendersi alla volontà dell’Amministrazione Trump di riscrivere le regole dello scambio internazionale, una speranza di contenimento arriva dal sistema giudiziario americano. E’ in corso, infatti, l’azione legale contro i dazi imposti da Trump, depositata lo scorso maggio presso la U.S. Court of International Trade. Il ricorso contesta in particolare l’uso dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa), una legge del 1977 che consente all’esecutivo di regolare le transazioni economiche internazionali in caso di emergenze nazionali provocate da minacce “inusuali e straordinarie” provenienti dall’estero. Secondo l’Amministrazione, il persistente disavanzo commerciale e le presunte pratiche scorrette di alcuni governi stranieri – in primis la Cina – costituirebbero una simile emergenza, giustificando l’imposizione di dazi generalizzati. 

 

A portare Trump in tribunale è stato un gruppo di imprese americane, rappresentate anche da Ilya Somin. professore di Diritto alla George Mason University, Somin ha costruito la sua carriera difendendo – da giurista e da intellettuale – il libero scambio, la libertà di movimento e il federalismo come strumenti per superare i limiti della democrazia rappresentativa.
Il caso è in discussione presso U.S. Court of Appeals for the Federal Circuit, le prime udienze sono incoraggianti per i promotori. Abbiamo raggiunto il professor Somin per un commento: “Ci sono molti problemi nell’uso dell’Ieepa da parte di Trump. Anzitutto, la legge non menziona i dazi e nessun presidente l’ha mai usata a tal fine, segno che non li autorizza. Secondo, anche ammesso che autorizzi alcuni dazi, può essere utilizzata solo in caso di emergenza che costituisca una “minaccia inusuale e straordinaria” per gli Stati Uniti. I disavanzi commerciali non sono né inusuali né straordinari, né costituiscono una minaccia. Lo stesso vale per le altre motivazioni addotte per vari dazi, come il traffico di droga transfrontaliero. Terzo, la cosiddetta major questions doctrine richiede che il Congresso parli chiaramente quando autorizza l’esecutivo a prendere decisioni di grande impatto. I dazi basati sull’Ieepa – che hanno dato inizio alla più grande guerra commerciale dalla Grande Depressione – sono chiaramente una questione cruciale, e non è affatto chiaro che il Congresso abbia concesso a Trump il potere che egli rivendica. Infine, se anche la legge autorizzasse Trump a imporre i dazi, violerebbe la Costituzione. L’Articolo I assegna l’autorità tariffaria al Congresso. Esistono limiti costituzionali alla delega dei poteri all’esecutivo: i dazi di Trump li violano persino secondo la versione più permissiva della nondelegation doctrine”.

   
Nei giorni scorsi, i giudici federali hanno mostrato un certo scetticismo nei confronti della difesa fondata sull’Ieepa. Supponiamo che la battaglia legale sia vinta e la questione passi al Congresso. Quanto è realistico che un Congresso a maggioranza repubblicana intervenga per bloccare i dazi? “Abbiamo già vinto in primo grado, e potremmo vincere anche in appello o – se il caso arriverà fin lì – davanti alla Corte Suprema”, spiega Somin. “Se ciò accadrà, i dazi dovranno essere annullati in quanto illegali, a prescindere dal fatto che il Congresso decida o meno di intervenire con una nuova legge. Sarebbe positivo se il Congresso approvasse nuove leggi per revocare all’esecutivo il potere di imporre dazi. Ma anche se ciò non dovesse accadere, i tribunali devono comunque far valere i vincoli costituzionali e legali all’esecutivo”.

 
La questione legale potrebbe richiedere ancora mesi, se non anni. Nel frattempo, i dazi restano in vigore e iniziano a produrre effetti sull’economia globale e sulle relazioni internazionali. Che tipo di mondo sta cercando di costruire l’Amministrazione Trump con questo uso aggressivo dei dazi e del nazionalismo economico? “E’ un mondo terribile, in cui americani e partner commerciali saranno più poveri e meno liberi. Il protezionismo impone nuove tasse, alza i prezzi per i consumatori, frena la crescita e danneggia l’economia. Inoltre nuoce ai nostri alleati – Italia compresa – e avvelena le relazioni internazionali. I veri beneficiari sono gli stati autoritari ostili, come Russia e Cina, che puntano a un’America indebolita e a un Occidente diviso”.
Il professor Somin ha recentemente messo in guardia contro l’uso crescente dei poteri d’emergenza da parte dei presidenti americani per gestire problemi che rientrano nella normale dinamica politica. Gli abbiamo chiesto se, da questo punto di vista, l’attuale Amministrazione stia solo seguendo un copione noto o se ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo, per portata e pericolosità. 


“Trump non è il primo presidente ad aver abusato dei poteri d’emergenza,” ammette Somin. “Ma la scala e l’estensione delle sue azioni sono senza precedenti, e se non verranno fermate, rappresenterebbero un passo reale verso una deriva autoritaria”. Finora, osserva, molte delle peggiori derive sono state bloccate dalle corti, che si augura “continuino a svolgere questo ruolo di contenimento”.


Alla domanda se sia fondata l’impressione che il potere giudiziario non sia in grado di contenere l’esecutivo, Somin risponde con equilibrio: “C’è un fondo di verità, ma l’idea è anche esagerata. Finora i tribunali hanno annullato i due abusi più eclatanti da parte di Trump: i dazi basati sull’Ieepa e l’uso dell’Alien Enemies Act”. Tuttavia, “ci sono limiti strutturali a ciò che i tribunali possono fare, se non sono sostenuti da una società civile vigile e da istituzioni funzionanti”. 


Chiediamo se questi limiti siano una peculiarità del sistema americano o riflettano problemi più generali delle democrazie, come Somin ha evidenziato in alcuni suoi lavori. “Alcuni sono specifici degli Stati Uniti (come l’eccesso di potere esecutivo sviluppato negli ultimi 80-100 anni), altri sono comuni: l’espansione del potere governativo e l’ignoranza politica diffusa, come ho scritto in Democrazia e ignoranza politica. Perché uno stato più snello sbaglia di meno”. 


Viene in mente l’adagio di Anthony de Jasay, secondo cui le costituzioni sono cinture di castità di cui lo stato detiene la chiave. I pesi e contrappesi americani possono reggere alla deriva autoritaria? “Se il sistema fosse davvero così fragile, sarebbe già crollato,” conclude Somin. “Detto ciò, è indubbio che oggi sia sotto forte pressione, e non è certo che riesca a reggere del tutto”.

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