Foto getty

l'analisi

Perché le pmi sono le più penalizzate dai prezzi gonfiati delle bollette

Luca Lo Schiavo Carlo Stagnaro

Gli oneri più pesanti sulle utenze sono per le piccole e medie imprese. I dati della relazione annuale di Arera. Bisogna percorrere fino in fondo la strada introdotta dalla prima legge di bilancio firmata dalla premier Meloni e dal ministro Giorgetti

Chi paga gli oneri generali di sistema, cioè quelle componenti tariffarie che gonfiano il prezzo dell’energia elettrica? La Relazione Annuale dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), pubblicata ieri, finalmente aiuta a dare una risposta. Si tratta di un tesoretto di circa 11,3 miliardi di euro (di cui 8,9 per le sole rinnovabili): di questi, 2,6 miliardi li versano i clienti domestici, 4,5 miliardi i clienti non domestici allacciati in bassa tensione (perlopiù piccole e medie imprese), 3,4 miliardi le imprese e gli altri clienti (incluse le pubbliche amministrazioni) allacciati in media tensione. Il resto, lo versano l’illuminazione pubblica, le colonnine per le auto elettriche e i consumatori energivori. In termini unitari, complessivamente le Pmi contribuiscono con 70,3 euro/Megawattora (MWh) se allacciate in bassa tensione e 52,5 euro/MWh se allacciate in media tensione. Le famiglie versano circa 46,7 euro/MWh, mentre le grandi industrie tra 6 e 14 euro/MWh (a seconda dei casi), pur prelevando circa un quarto dell’energia elettrica consumata in Italia. Questa distanza è la mappa di una redistribuzione nascosta che spacca il mondo produttivo e mette a nudo alcune contraddizioni della politica energetica italiana.


Le giustificazioni delle differenze del “peso” degli oneri sono di due ordini. Da un lato, la struttura tariffaria è complessa e favorisce, per effetto della composizione tra “quota fissa”, “quota potenza” e “quota variabile”, gli utenti con più alto utilizzo della rete; questo emerge con grande chiarezza da altre tabelle della stessa Relazione annuale. Ma c’è anche una redistribuzione esplicita perché le agevolazioni alle imprese energivore si scaricano sulle altre categorie di consumatori: nel 2024, questi sgravi hanno raggiunto la cifra di 1,5 miliardi di euro, a cui se ne aggiungono altri 1,3 per gli sconti sul prezzo dell’energia garantito alle Ferrovie. Visti gli attuali livelli degli oneri (che almeno per le rinnovabili resteranno all’incirca stabili fino al 2030 in base alle stime del Gse) è inevitabile che si scateni una guerra tra categorie di clienti: le imprese energivore non possono reggere la concorrenza internazionale, con gli attuali livelli di prezzi dell’energia, anche perché i loro competitor esteri godono di sovvenzioni ancora più generose; ma, contemporaneamente, per mitigare il problema lo si aggrava per altri clienti, e in modo particolare le Pmi allacciate in bassa tensione. La vera questione, prima ancora che nella redistribuzione degli oneri, sta nel loro livello. Dal 2023, la prima tranche di “oneri impropri” (come li ha definiti non solo la Commissione europea, ma anche la legge italiana) è stata spostata dalla bolletta alla fiscalità generale: si tratta degli oneri per il decommissioning nucleare, 400 milioni di euro all’anno. Era il primo passo di una riforma più ampia, prevista anche dal Pnrr. La stessa legge di bilancio 2023 prevedeva che Arera formulasse una proposta per successivi passi: ma la segnalazione di settembre 2023 (relativa alla fiscalizzazione dei bonus sociali, un’altra voce con chiara valenza sociale) è rimasta lettera morta. Oggi riprendere quel percorso e fiscalizzare progressivamente le agevolazioni per gli energivori vorrebbe dire mantenere lo sconto per i settori ad alta intensità energetica alleviando l’onere redistributivo per la piccola e media impresa con misure strutturali, e non temporanee come il decreto bollette di marzo (che dopo un semestre sono svanite).


L’inerzia italiana – inerzia che ieri il presidente di Confindustria Emanuele Orsini ha detto che potrebbe essere spezzata entro la fine di settembre, come da promessa fatta allo stesso Orsini dalla premier Giorgia Meloni, con l’idea o meglio la promessa “di abbattere il costo dell’energia portandolo davvero ai livelli degli altri paesi europei, ovvero portando a un costo di 100 megawatt/ora a uno pari a circa 60-65 euro – contrasta con la capacità di azione di altri paesi europei. La Germania nel luglio 2022 ha eliminato di colpo il sovrapprezzo per le rinnovabili (Umlage EEG) che pesava 6,6 miliardi di euro all’anno sulle bollette tedesche, trasferendolo alla fiscalità generale. La differenza tra Italia e Germania non è solo di volontà politica ma anche di vincoli di bilancio. La Germania aveva (e ha) spazio fiscale per operazioni da miliardi, l’Italia deve fare i conti con un debito pubblico che supera il 135 per cento del Pil. Ma proprio per questo Arera aveva proposto di rendere progressivo, per step annuali, il percorso di trasferimento degli oneri impropri alla fiscalità generale. La Relazione Arera mostra chiaramente dove intervenire, rimuovendo redistribuzioni che sono troppo onerose per le Pmi a fronte di agevolazioni irrinunciabili per le imprese energivore. La prima legge di bilancio firmata da Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti aveva indicato la strada giusta. Ora serve solo il coraggio di percorrerla fino in fondo.

Di più su questi argomenti: