Un adesivo a sostegno del presidente Trump esposto sul muro nella Borsa di New York (AP Photo/Seth Wenig) 

a chi importa dei dazi

Qualche ipotesi per spiegare perché i mercati si fidano ancora di Trump, nonostante tutto

Lorenzo Bini Smaghi

Il mercato azionario riflette lo stato di salute di solo una parte dell’economia americana. E quella parte che sostiene il presidente non se la passa troppo male

Nonostante la maggior parte degli economisti – non solo americani – abbia fatto previsioni nefaste sugli effetti delle politiche economiche messe in atto da Trump, soprattutto per quel che riguarda i dazi, Wall Street continua ad applaudire, toccando nuovi record. Forse i mercati si sbagliano completamente, come spesso avviene, oppure sanno qualcosa che gli economisti non hanno ancora capito. Si possono avanzare varie ipotesi per riconciliare l’apparente contraddizione tra i mercati azionari e l’economia reale.

 

La prima è che gli investitori scontino uno scenario nel quale, al di là degli annunci e delle minacce di Trump, alla fine i dazi saliranno solo marginalmente e avranno un impatto contenuto sull’economia americana. Questa ipotesi si basa su una ripetizione di quanto è avvenuto dopo l’annuncio del Liberation Day, il 2 aprile scorso. Allora, il crollo delle quotazioni azionarie di oltre il 10 per cento indusse Trump a rimangiarsi gran parte delle misure e ad allungare i tempi del negoziato. L’aspettativa che Trump faccia marcia indietro a fronte delle reazioni negative dei mercati (“Trump always chickens out”), spiega la rapida ripresa di Wall Street già nella seconda metà di aprile. In luglio le quotazioni erano tornate oltre i livelli raggiunti subito dopo l’insediamento del 20 gennaio scorso.

Non è però detto che Trump sia sempre disposto a rimangiarsi gli annunci. I recenti dati sulle entrate fiscali derivanti dai dazi sembrano al contrario incoraggiarlo a continuare con la linea dura. In questo scenario, i mercati potrebbero dover rivedere rapidamente al ribasso le loro aspettative, provocando un brusco ridimensionamento delle quotazioni, con rischi per la stabilità finanziaria. 

 
La seconda ipotesi è che, in realtà, le quotazioni azionarie non siano strettamente correlate con l’economia americana. In effetti, se si esamina il periodo più recente, post-pandemia, le quotazioni sono cresciute del 30 per cento in più rispetto al prodotto lordo nominale. Se si considerano gli ultimi 10 anni, il rapporto tra l’indice azionario e il prodotto è salito addirittura del 300 per cento. Questo significa che i mercati non sono un buon previsore dell’economia reale, eccetto in periodi di crisi intense come nel 2008-09 e nella pandemia. 

 
I motivi di tale divergenza sono molteplici. Innanzitutto, l’indice azionario americano è sempre più influenzato dalle aziende tecnologiche – le famose sette sorelle – i cui valori si sono moltiplicati negli ultimi anni. Se si esclude questo comparto, la divergenza è molto più contenuta. Inoltre, nel corso degli anni le aziende americane hanno espanso le loro attività all’estero, beneficiando della crescita globale e non solo di quella americana. Un altro fattore che spiega l’extra performance azionaria è la politica di riacquisto (buy back) delle proprie azioni da parte delle imprese statunitensi, che ha favorito la loro rivalorizzazione. Di fatto, c’è stata negli ultimi anni una forte redistribuzione del reddito a favore del capitale, che spiega la divaricazione tra la valorizzazione delle imprese e il reddito americano. 

 
La terza ipotesi, legata alla precedente, è che i mercati azionari non siano tanto interessati ai dazi e al loro impatto sull’economia americana, ma piuttosto all’insieme della politica economica messa in atto dalla nuova Amministrazione. Come ha sottolineato lo stesso Trump, i dazi non hanno come obiettivo solo quello di riequilibrare il deficit commerciale con l’estero ma anche (e soprattutto) quello di aumentare le entrate dello stato per finanziare i tagli fiscali che sono stati decisi nella recente legge di bilancio a favore delle aziende. Non è un caso che l’indice di Wall Street sia salito dopo l’approvazione della Big Beautiful Bill da parte del Congresso. 

 
L’Amministrazione Trump sta mettendo in atto anche un’azione di deregolamentazione ad ampio respiro, che interessa tutti i settori, non ultimo quello finanziario e delle cripto-valute, che va a beneficio soprattutto degli investitori. 

 
Nel complesso, anche se nel breve-medio termine le politiche economiche di Trump produrranno un rallentamento economico e una spinta al rialzo sui prezzi, sia per effetto dell’aumento dei beni importati sia per i tagli alla spesa sociale, in particolare l’assistenza medica, a patirne non saranno le imprese, soprattutto quelle tecnologiche, che potranno al contrario beneficiare di tasse più basse, regole meno stringenti e posizioni monopolistiche rafforzate. 

 
In sintesi, il mercato azionario riflette lo stato di salute di solo una parte dell’economia americana. Quella che sostiene, ed è sostenuta, dalla nuova Amministrazione.


 

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