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L'intervista
Gozzi (Federacciai): “Incentivare il nucleare come fatto per le rinnovabili”
Un report di Confindustria stima circa 117 mila nuovi posti di lavoro dell'energia nucleare di nuova generazione (di cui 39 mila direttamente nella filiera) e un ritorno economico pari al 2,5 per cento del pil: “Serve un approccio integrato con forte connessione tra industria, ricerca, istruzione e formazione”
L’Italia sta abbracciando l’energia nucleare. Una svolta che trova nella bozza di disegno di legge approvato dal governo Meloni, e che dovrà essere discussa in Parlamento, lo schema di lavoro normativo e istituzionale che sarà seguito per arrivare a costruire i primi impianti. L’obiettivo è mettere l’Italia nelle condizioni di rispondere al crescente fabbisogno energetico dei prossimi decenni in modo autonomo e a costi più accessibili di quelli attuali. Tale indirizzo è fortemente sostenuto da Confindustria che ieri ha presentato un rapporto, in collaborazione con l’Enea, su come integrare l’energia nucleare, di nuova generazione, nel mix energetico italiano.
Lo studio stima la creazione di circa 117 mila nuovi posti di lavoro, di cui 39 mila direttamente nella filiera. Secondo gli scenari analizzati, con un primo impianto operativo dal 2035, il nucleare risulterà vantaggioso sia dal punto di vista economico che energetico, con benefici rilevanti per le imprese. Ma come si finanzia questa svolta? Quali sono le risorse a disposizione per rendere un obiettivo così ambizioso raggiungibile in un arco di tempo di 10-15 anni? Il Foglio lo ha chiesto ad Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e special advisor del presidente di Confindustria, Orsini, su competitività e Piano Mattei. “Parto da un dato: l’Italia ha speso finora circa 200 miliardi di incentivi per le energie rinnovabili, senza, peraltro, raggiungere l’obiettivo di sostituire solare e fotovoltaico all’energia da idrocarburi. Ebbene, il paese dovrà fare uno sforzo anche per incentivare la produzione di energia nucleare che tutti gli studi scientifici ci assicurano essere ormai sicura, stabile e a emissioni zero, quindi compatibile con gli obiettivi europei di decarbonizzazione". Vuole dire scaricare i costi sulle bollette. Pensa che gli italiano lo accetteranno facilmente? "Sì, se si spiega loro che è la nostra unica possibilità. Ovviamente, si sta parlando di impianti di nuovissima generazione, noti come Smr, reattori modulari di piccola taglia, più flessibili, sicuri e adatti alla cogenerazione a media-alta temperatura: offrono vantaggi in termini di costi, tempi di installazione e stabilità della rete”. Quante centrali servirebbero? “Si sta ragionando su un’ipotesi che ne prevede la costruzione di 40-50 da 200 mgw”. Costo complessivo? “70-75 miliardi, molto meno dei 200 miliardi che sono stati spesi per sostenere le fonti rinnovabili attraverso un sistema di incentivazione che termina nel 2030.
Da quel momento si potrebbe pensare a sostenere l’avvio del nucleare con un meccanismo analogo. Intendiamoci, non ho nulla contro solare ed eolico, ma è ormai chiaro che possano svolgere un ruolo solo complementare nel mix energetico necessario al paese per mantenere il suo ruolo di grande produttore ed esportatore mondiale. Senza contare che data center e intelligenza artificiale stanno rendendo lo sviluppo economico sempre più energivoro”. Lo studio di Confindustria, infatti, stima che da qui al 2050 la domanda di energia elettrica sarà triplicata. E’ ipotizzabile il coinvolgimento di capitali privati nella svolta nucleare? “Assolutamemte si – replica Gozzi – Numerose società di Confindustria hanno mostrato disponibilità a espandere il loro business in questo settore. E si sta ragionando sulla possibilità che gli imprenditori diventino azionisti delle centrali stess”. Anche il rapporto di Confindustria sottolinea l'efficacia di un adeguato sistema di incentivi al nucleare sulla scia di quanto già avvenuto con le fonti rinnovabili. La roadmap tracciata prevede di implementare una flotta di reattori nucleari di tipo Smr, in virtù della maggior maturità tecnologica, affiancati, appena disponibili, dai complementari sistemi Amr. Sulla base degli studi, il costo di generazione di questi tipi di impianti è stimato tra 70 e 110 dollari/MWh, comparabile con il costo delle fonti rinnovabili.
Secondo il rapporto, infine, lo sviluppo del nucleare potrebbe generare un ritorno economico pari al 2,5 per cento del pil. “Ovviamente, l'attuazione di questo programma necessita di un approccio integrato che preveda una forte connessione tra industria, ricerca, istruzione e formazione. Occorrono tecnici e professionalità qualificate per supportare questo processo, ma anche un’adeguata attività di comunicazione e divulgazione per spiegare ai cittadini i vantaggi e superare paure radicate”. In effetti, dall’incidente di Chernobyl in poi l’Italia, a differenza della Francia, chiuse le porte al nucleare e gli italiani chiusero la mente a questa possibilità. Ma da allora il mondo è cambiato e la sostenibilità energetica del futuro passa anche attraverso il superamento di un tabù culturale.

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