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Giorni chiave per l'ex Ilva

Quanto è strategico l'acciaio? Parla Marco Simoni

Marianna Rizzini

Il ruolo dello stato, lo sfondo europeo, le mosse di Trump, la necessità di un investimento per un "green steel technopole". Colloquio conil direttore dell’Osservatorio “Policy, industry, Europe” presso il Leap (Institute for European Analysis and Policy) della Luiss

Gli occhi della Ue sono rivolti alle mosse di Donald Trump, ma questi sono giorni importanti per l’Ilva, ex prima acciaieria d’Europa. “E’ una settimana decisiva”, dice il ministro per le Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso, tra l’incontro con i sindacati (ieri), quello con gli enti locali (oggi) e la conferenza dei servizi (giovedì). Dal Pd, intanto, l’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando invita il governo a definire meglio “la soluzione di interesse nazionale”. Ma quanto è strategico, oggi, l’acciaio? Ne parliamo con il professor Marco Simoni, direttore dell’Osservatorio “Policy, industry, Europe” presso il Leap (Institute for European Analysis and Policy) della Luiss. “L’acciaio è un asset fondamentale”, dice Simoni: “In questi anni abbiamo parlato spesso di una sorta di acciaio metaforico, l’intelligenza artificiale, e del ruolo dello stato in materia di economia della conoscenza. Ma questo non significa che l’acciaio vero sia meno importante: l’Italia è un paese manifatturiero, uno dei settori chiave della manifattura è l’industria meccanica, l’acciaio è imput fondamentale in questa industria”.

L’ex Ilva, dice Simoni, ha come prodotto “l’acciaio primario, elemento di base fondamentale. E abbiamo imparato una cosa importante in questi anni, qualcosa che la lettera di Trump alla Ue rende ancora più evidente: viviamo in un mondo nuovo, in cui ci sono tre grandi poli di potenza economica e politica, la Cina, gli Usa e la Ue. L’Europa fatica per ragioni storiche a riconoscersi tale, ma questa è la realtà. E allora dobbiamo renderci indipendenti sugli asset fondamentali”. Simoni si riferisce all’acciaio, ma anche ai social network e a whatsapp. “Dovrebbe essere una priorità assoluta”, dice, “se non vogliamo finire a fare i camerieri di qualcuno o a sperare che qualcuno ci lanci una coscia di pollo transgenico del Wisconsin. Perché quello è l’obiettivo dei nostri competitor: farci diventare un mercato per le auto cinesi e per il pollo americano. E’ ora che l’Europa si svegli e che l’Italia capisca quali sono le industrie strategiche”. Non lo sta facendo? “Si vedono movimenti, si vedono acquisizioni, ma il governo dovrebbe spiegare che cosa è strategico e che cosa no. Ecco, l’ex Ilva e l’acciaio sono sicuramente strategici”.

Come ci si dovrebbe muovere, quindi? “La Svezia, per esempio”, dice Simoni, “punta alla prima acciaieria a energia rinnovabile. Non ci si è ancora arrivati, ma è una questione di tempo, tecnologia, investimento”. Già presidente della Fondazione Human technopole, nuovo istituto italiano di ricerca per le scienze della vita, Simoni pensa a un “green steel technopole a Taranto o a Bari: un luogo dove si possa studiare la sinergia energia rinnovabile-imprese energivore”. Il costo “di un centro super-specializzato di questo tipo”, dice, “non sarebbe alto: con cento milioni l’anno, un grande scienziato a dirigerlo, due-trecento tra ingegneri e matematici e l’apporto dell’AI si potrebbe fare”. C’è resistenza a pensare una cosa del genere? “Non è resistenza, è incompetenza. Si confonde un problema industriale del Novecento con il problema di oggi: nel Novecento l’inquinamento a Taranto era questione molto seria, ma siamo nel 2025 e dobbiamo guardare alla situazione con gli occhi di oggi, non dell’altroieri. E il mondo di oggi ci dice che senza acciaio, cioè senza elementi fondamentali strategici, diventiamo un mercato di divertimento per i nostri competitor”. Che fare con l’Ilva, ora? “E’ uno dei nostri gioielli. Dobbiamo non soltanto rafforzarla, ma anche investire strategicamente: la costruzione di un grande centro di ricerca per le energie verdi – magari non realizzabile domani, ma forse dopodomani sì – andrebbe in questa direzione. Se si impara a fare acciaio green, tra l’altro, poi quel tipo di tecnologia potrà servire per altro: vetro, carta, piastrelle. Un investimento strategico per tutta l’industria italiana”. Lo stato che cosa deve fare, ora? “Penso debba investire in Ilva, non penso debba comprarla”. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.