
Il segretario al Commercio Usa, Howard Lutnick, e il suo collega al Tesoro, Scott Bessent (foto Ansa)
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Dazi Usa, quale strategia? Il segretario al Tesoro e quello al Commercio si contraddicono
Bessent ha più volte affermato che i dazi serviranno a incassare fino a 600 miliardi di dollari all’anno. Il suo collega al Commercio Lutnick sostiene invece che le tariffe riporteranno fabbriche e stabilimenti industriali in America. I due obiettivi sono irrimediabilmente in contrapposizione
Trump ci riprova. Una nuova raffica di annunci di dazi è partita negli ultimi sette giorni dalla Casa Bianca. Canada, Brasile, Giappone, Corea del Sud, perfino Libia e Brunei: sono alcuni dei paesi destinatari delle minacciose lettere del presidente. Tariffe in arrivo – stando agli annunci – anche su rame e farmaci, fino a ora esentati. Il presidente questa volta si è preso tempo fino al 1° agosto per rimangiarsi la parola, come molti sospettano accadrà. La ragione è una: a pagare i dazi sono i contribuenti americani. Appare sempre più chiaro: le ricerche pubblicate sulle tariffe varate da Donald Trump nel corso del suo primo mandato alla Casa Bianca sono quasi unanimi.
Vale la pena ricordare come funzionano i dazi: quando i prodotti stranieri arrivano alla dogana americana, l’importatore americano che ha ordinato la merce paga il dazio dovuto alla U.S. Customs and Border Protection. Potrà decidere di rivalersi sul proprio fornitore, chiedendo un conguaglio, o sui propri clienti, aumentando il prezzo di vendita. O, in alternativa, risolvere il problema alla radice cambiando fornitore, scegliendolo tra i paesi non sottoposti a dazi (sempre che esistano: un concessionario di auto Ferrari non potrà importare le vetture altrove che da Maranello).
Da tempo la letteratura economica ha dimostrato che il peso delle tariffe viene sobbarcato principalmente dalla filiera americana. Per la ricerca pubblicata nel 2021 dagli economisti Alberto Cavallo, Gita Gopinath, Brent Neiman e Jenny Tang, probabilmente la più citata sul tema, sono stati principalmente gli importatori e venditori Usa a pagare il costo dei dazi, mentre i rischi di rincari per i consumatori finali sarebbero stati piuttosto limitati. Le aziende avrebbero preferito infatti sacrificare i propri margini piuttosto che aumentare i prezzi al consumo, con il rischio di perdere clientela.
Ma ricerche più recenti hanno riscontrato che anche i consumatori americani devono affrontare listini più alti. Secondo uno studio del 2025 di due ricercatori della Federal Reserve, che hanno studiato un campione di prezzi più ampio e rappresentativo, il costo delle tariffe introdotte sui beni cinesi tra il 2018 e il 2019 è stato traslato “completamente e velocemente, entro un paio di mesi, sui prezzi pagati dai consumatori finali”. Per di più, i rincari non riguardano solo i prodotti importati e sottoposti a dazi, ma anche quelli prodotti negli Stati Uniti ma legati commercialmente ai primi: secondo un’altra ricerca che ha studiato la guerra commerciale del primo mandato Trump, i prezzi delle lavatrici – colpite dai dazi – sono cresciuti negli Stati Uniti del 12 per cento; allo stesso modo i rincari riguardarono anche le asciugatrici, un bene complementare alle lavatrici, benché questo elettrodomestico non fosse coinvolto dalle tariffe. A dimostrare che gli effetti dei dazi non si fermano ai prodotti su cui vengono pagati alla dogana, ma sull’intera economia.
Le stime sui primi mesi di guerra commerciale dimostrano che, a fine giugno, i prezzi americani dei prodotti importati sono cresciuti di circa il 3 per cento da quando le prime tariffe sono state introdotte. Un aumento che non ha riguardato invece i beni made in Usa. A rincarare maggiormente sono state le merci in arrivo dalla Cina, mentre quelle importate da Messico e Canada hanno subito rincari minori. Secondo gli economisti, i nuovi dazi sulla Cina avrebbero già spinto l’inflazione americana dello 0,3 per cento tra febbraio e marzo.
Il fisco americano ha già raccolto oltre 100 miliardi di dollari alla dogana nel 2025. A giugno il gettito è più che triplicato rispetto a quanto il governo incassava a gennaio. Uno dei più ingenti aumenti di prelievi fiscali di sempre per i contribuenti americani.
Ciò che rende ancora più confusa la politica commerciale di Donald Trump è l’assenza di un chiaro obiettivo. Il segretario al Tesoro Scott Bessent ha più volte affermato che i dazi serviranno a incassare fino a 600 miliardi di dollari all’anno. Il suo collega al Commercio, Howard Lutnick, sostiene invece che le tariffe riporteranno fabbriche e stabilimenti industriali in America. I due obiettivi sono irrimediabilmente in contrapposizione. Sui dazi neanche alla Casa Bianca hanno le idee chiare.