I Superbonus non fanno lotta all'evasione, ma alla riscossione

Luciano Capone

Le imprese lanciano allarmi sulla riduzione dei bonus edilizi perché così aumenterebbe il sommerso. Ma il  “contrasto di interessi” è solo un'illusione che fa perdere gettito, come dimostrano i casi 110% e Cashback

Il mondo delle imprese lancia allarmi per la stretta sugli incentivi all’edilizia: “Stretta sui bonus casa, rischio evasione” titola in prima pagina il Sole 24 Ore. Prima l’argomento usato era che il taglio degli incentivi avrebbe depresso un settore che ha sostenuto la crescita e l’occupazione. Ora, invece, è che la riduzione del credito d’imposta dal 110% al 50% quest’anno e al 36% nel 2026 fa aumentare l’evasione fiscale: senza un Superbonus così conveniente com’era il 110%, si depotenzia il “contrasto di interessi” e di conseguenza imprese e committenti sono tentati a rifugiarsi nel sommerso. Sono due preoccupazioni esagerate o infondate.


Partiamo dall’impatto sull’economia. Nel 2024, con una spesa in bonus edilizi di 9 miliardi, il pil è cresciuto dello 0,7%. Esattamente quanto era cresciuto nel 2023, quando però in bonus edilizi erano stati spesi 90 miliardi. In pratica, un taglio della spesa di circa 80 miliardi (4 punti di pil) ha consentito all’Italia di tornare in avanzo primario (da -3,6% a +0,4%) senza alcun impatto negativo sulla crescita.

Questo è stato vero per l’economia in generale, ma anche nello specifico per l’edilizia. Secondo l’Istat, nel 2024 post Superbonus la produzione nelle costruzioni è cresciuta del 5% e con essa occupazione e le ore lavorate. Anche nei primi mesi del 2025 i dati sono positivi: secondo l’Istat nel primo quadrimestre la produzione è cresciuta del 3,9% rispetto al 2024; e secondo l’indagine della Banca d’Italia tra le imprese quelle delle costruzioni hanno le migliori aspettative di crescita e occupazione, soprattutto rispetto all’industria che subisce i dazi di Trump. Naturalmente, c’è stata una caduta nell’ambito dell’edilizia residenziale, ma il settore sta beneficiando degli investimenti per le opere del Pnrr.

Resta quindi il tema del sommerso. La tesi è che un bonus ora al 50%, che scenderà al 36% nel 2026 (e al 30% sulle seconde case), senza peraltro la cessione del credito e quindi con la prospettiva di una detrazione decennale e non più immediata, rende per committente e impresa più conveniente accordarsi per fare lavori in nero. L’assenza di un “contrasto di interessi” è però un argomento singolare, per due motivi. Il primo è che questa era una caratteristica fondamentale del Superbonus, perché il committente non aveva alcun interesse a contrattare i prezzi con l’impresa dato che avrebbe pagato tutto lo stato (110%!), eppure questo non ha mai preoccupato il mondo delle imprese che, anzi, ha sempre chiesto l’estensione e la proroga di questo folle meccanismo che ha prodotto un buco nel bilancio pubblico di 150 miliardi di euro (su 220 miliardi di spesa).

Ma la ragione principale è che il “contrasto di interessi” è di per sé una misura illusoria di contrasto all’evasione. Perché l’evasione è, per definizione, sempre più conveniente di qualsiasi detrazione o deduzione. Pertanto, se le autorità fiscali volessero annullare la convenienza economica di committente e impresa a colludere per evadere, dovrebbero concedere un’agevolazione pari al peso dell’imposizione fiscale: in pratica dovrebbero abbuonare le tasse.

Non a caso, ciò che chiedono le imprese è un’agevolazione che sia superiore al 36%, ovvero pari o superiore al livello della pressione fiscale. Ma questo, se formalmente è contrasto dell’evasione fiscale, nella sostanza significa eliminare le tasse. Se ipotizziamo un bonus pari alla pressione fiscale, rispetto a uno scenario di evasione totale lo stato non “recupera” nulla: tante tasse vengono dichiarate e altrettante vengono scontate. 

Ma questa è un’ipotesi estrema, perché ovviamente non tutte le imprese del settore evadono, anzi, per fortuna la gran parte rispetta gli obblighi fiscali. E questo implica che, in verità, con incentivi generosi, più che “recuperare” evasione fiscale, lo stato perde gettito fiscale: perché, ovviamente, il bonus viene applicato anche a tutti i lavori e le transazioni dove normalmente non c’è evasione, che si presume siano la maggioranza. Così il fisco non prende gettito in più da chi evade e lo perde da chi non evade: un bagno di sangue.

Esiste una varietà di esempi storici che vanno tutti nella stessa direzione. Il primo è ovviamente il Superbonus, che ci costa ancora oltre 40 miliardi di euro all’anno fino al 2027. L’altro è il Cashback, anch’esso introdotto dal governo Conte II (e poi soppresso dal governo Draghi): lo sconto del 10% sugli acquisti con carte o strumenti digitali. Secondo la relazione del Mef allegata al Pnrr, il costo “pari a 4,75 miliardi di euro risulta superiore alle potenzialità di recupero del gettito evaso” e pertanto li Cashback è una misura “molto onerosa”.

In pratica, con il “contrasto di interessi” lo stato fa una lotta all’evasione a perdere, con una perdita che va da tanto a tantissimo, a seconda dell’intensità del bonus. D’altronde, si estendesse questo meccanismo a tutti i settori nessuno pagherebbe più tasse, l’evasione sarebbe sconfitta e lo stato fallito. 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali