
Foto Fabio Bozzani ©
Smart city e futuro. Senza paura e retorica. Dibattito fogliante
Quanto ottimismo ci vuole per proiettare le città nel futuro? Idee e spunti. Un evento del Foglio nella sede di banco Bpm a Milano
Metti una mattina di luglio a Milano. Milano a mille gradi, metropoli combusta, e combusta anche a causa del suo essere smart: l’aria condizionata e non solo, l’AI che muove tutto ma che per muoversi ha bisogno di motori più energivori dei Tir sull’autostrada, le auto elettriche sì, ma che a ogni ricarica mangiano tanta energia quanta ne restituiscono (l’ha ricordato con logica da Candide l’ex sindaco Gabriele Albertini). Milano spazzata dagli uragani, Milano questa mattina limpida come nemmeno in primavera. Il nostro mondo in altalena. Quanta intelligenza ci vuole, quanta fiducia nel futuro reso migliore dalle tecnologie guidate dalle idee è necessaria per trasformare le nostre città desiderose di cambiamenti in vere Smart City, in città del futuro? Come portare il futuro – che di solito immaginiamo confinato nelle università o nelle aziende del big tech – fin dentro al nostro presente?
Metti una mattina di luglio a domandarselo, a lanciare idee ma anche a fare esempi concreti, in un evento del Foglio, giovedì 10 luglio, nella Sala delle Colonne della sede di Banco Bpm a Milano. Con il consueto ottimismo guidato dalla ragione e da buone ragioni, lo abbiamo intitolato “Smart City Italia 2025 - Città intelligenti, e senza paura”. Titolo in cui la prima e ultima parola, smart e paura, indicano un percorso.
Mai come negli ultimi due anni, con l’esplosione degli usi dell’AI in ogni dimensione della vita, quella promessa di diventare “smart” è stata accompagnata dalla paura: paura dell’AI che ci ruba il lavoro, che controlla le nostre menti, la nostra salute e i nostri conti correnti, che decide persino come debba scorrere il traffico e l’orario dei treni, che crea o falsifica le notizie. Le paure degli algoritmi, della scienza, della gestione dei dati invece possono ribaltarsi in “rivoluzioni possibili”, che aiutano le nostre città a diventare più intelligenti, vivibili: dalla sostenibilità ai trasporti, dal riciclo del vetro all’urbanistica studiata e programmata attraverso strumenti che raccolgono dati un tempo impossibili da gestire. Dagli impatti del clima all’edilizia sostenibile. Per finire (finire? In realtà è l’inizio e lo scopo di tutto) alla qualità della vita, alla integrazione sociale di nuovi cittadini e cittadini vecchi o invecchiati. Contrariamente a quanto spesso si dice, da parte di improvvisati critici dell’innovazione ritenuta una minaccia alle persone. Invece città “smart” e migliore tessuto sociale vanno di pari passo.
Di tutto questo hanno parlato gli interlocutori dell’evento del Foglio, accolti dal “padrone di casa” Umberto Ambrosoli, presidente della Fondazione BPM e di Banca Aletti, che volutamente ha sottolineato, a proposito del proprio modello di banca: “La prossimità per noi è una scelta, un modello di come essere banca. In questa logica, ritengo che in una città smart, debba trovare spazio quella bioversità bancaria necessaria per garantire concorrenza e pluralità di offerta per la clientela. Il modello della banca di comunità, cui noi ci ispiriamo, ha al centro la prossimità. Essere presenti: nei quartieri come in provincia, nelle relazioni con le Poi, con le famiglie, e le Istituzioni locali”.
L’elenco completo dei relatori lo trovate qui, assieme alla registrazione video dell’intera mattinata. C’erano tre rettori di università milanesi – Milano è una delle città con più alto tasso di studenti in Europa: su questo che si costruisce una città della conoscenza – c’erano amministratori pubblici alle prese con la non semplice messa a terra di trasformazioni come la necessaria digitalizzazione dei servizi; c’erano urbanisti e manager di aziende pubbliche e private che si occupano della mobilità. Si è parlato di quanto la digitalizzazione – dai gemelli digitali indispensabili a simulare e interpretare le necessità e i comportamenti dei sistemi complessi, come le città e i territori, ma anche le interfacce comunicative – può cambiare in meglio e in modo non minaccioso tutte le attività umane.
Si è parlato di tutto questo con un piglio volutamente, ma non ingenuamente, ottimista: non bisogna avere timore di quanto scienza e tecnologia possano fare per risolvere i problemi. Ma si è parlato anche, ed è giusto che sia così, delle difficoltà che il nostro paese ha nella strada dell’innovazione. Nonostante tutte le celebri eccellenze italiane, il nostro paese non figura ai primi posti né nelle classifiche delle migliori università, né in quella dei brevetti industriali, né all’innovazione manifatturiera, in cui l’Italia anzi segna il passo. Come ha ricordato il presidente di Fiera Milano, Carlo Bonomi, che ha un osservatorio privilegiato nel confronto con i sistemi economici di tutto il mondo, snocciolando numeri preoccupanti: “Sia nell’amministrazione pubblica che nell’iniziatica privata la prima cosa che serve si chiana ‘governance”, ha detto: “Senza progetti chiari a 15 anni e la capacità di metterli subito a terra anche le innovazioni più decisive sono destinate a restare lettera morta”. Quanto impegno e ottimismo ci vuole, per trasformare il nostro presente nelle Smart City del futuro?