
Ansa
spesa militare
Difesa e tech possono ridare all'Europa (e all'Italia) un ruolo decisivo
Con l'investimento in armamenti l’economia potrebbe andare incontro ad aumenti di debito pubblico difficilmente sostenibili, soprattutto nei casi di paesi fortemente indebitati come quello italiano
Qual è l’impatto economico degli investimenti nel settore militare? Per valutare l’impatto economico di un intervento pubblico si fa spesso riferimento al suo effetto moltiplicativo sul reddito. La spesa pubblica, infatti, si traduce in redditi per imprese e individui che useranno parte di questi redditi per consumi e investimenti, generando ulteriore domanda e reddito. La letteratura scientifica che si è occupata degli effetti della spesa militare sul reddito ha individuato che un suo incremento di 1 euro provoca una crescita economica compresa tra 0,6 e 1,2 euro. Se l’investimento in armamenti dovesse essere finanziato in deficit, è molto importante che il valore del moltiplicatore di questa tipologia di spesa sia pari o (meglio) maggiore di 1. Diversamente, l’economia potrebbe andare incontro ad aumenti di debito pubblico difficilmente sostenibili, soprattutto nei casi di paesi fortemente indebitati come quello italiano. L’oscillazione del valore del moltiplicatore tra 0,6 e 1,2 dipende dalla natura della spesa militare. Acquistare armamenti da altri paesi è come fare una spesa di consumo con un effetto moltiplicativo basso. Diversamente, investire nel miglioramento tecnologico dei propri sistemi di difesa è, invece, una spesa di investimento. Mentre nel primo caso l’impatto della spesa militare sull’economia sarà trascurabile, nel secondo caso l’innovazione connessa alla spesa militare innescherà un aumento di produttività a beneficio della crescita.
Un governo attento agli effetti economici delle sue scelte di policy, più che guardare alle fluttuazioni nel reddito di breve periodo, dovrebbe essere interessato all’incidenza sulla crescita che esse esercitano in modo costante e duraturo nel tempo. Juan Antolin-Diaz e Paolo Surico, economisti della London Business School, in uno studio appena pubblicato sull’American Economic Review hanno esaminato le dinamiche di lungo periodo della relazione tra spesa militare e crescita economica. L’evidenza empirica indica non solo che l’investimento in armamenti promuove la crescita in tempi di guerra, ma che questo effetto si mantiene e, soprattutto, si protrae anche durante i periodi di pace. Infatti, gli investimenti in difesa, modificando la composizione della spesa pubblica verso i settori altamente tecnologici, favoriscono l’innovazione e gli investimenti privati nel medio periodo e aumentano la produttività. Quindi, se orientate sulla ricerca e lo sviluppo, le spese militari possono costituire un valido strumento di politica fiscale per sostenere le attività economiche in tempi di pace e avere benefici di lungo periodo che vanno al di fuori dall’alveo della sicurezza nazionale.
Tornando al valore del moltiplicatore dell’investimento in armamenti, gli economisti dell’università britannica affermano che, sebbene sia inferiore a 1 nel breve periodo, dal quarto anno in avanti l’impatto sugli investimenti privati e sulla crescita della produttività lo spingono ben al di sopra di 1, favorendo uno stimolo duraturo al reddito e ai consumi. Poiché gli effetti sulla crescita economica della spesa militare sono un aspetto importante per il dibattito pubblico in Europa, possono essere tratte due considerazioni, una di carattere generale e l’altra più indirizzata all’Italia. Primo, se confrontiamo la percentuale della spesa militare orientata alla ricerca e sviluppo tra gli Stati Uniti e l’Europa, notiamo che essa corrisponde al 16 per cento nel primo caso e solo al 4,5 per cento nel secondo. Quindi, per ridurne i costi e aumentare gli effetti sulla crescita di lungo periodo, ci vuole un cambiamento di rotta. La spesa per la difesa deve essere orientata allo sviluppo dell’industria militare europea, puntando sull’innovazione e diversificando la produzione a livello regionale, sfruttando i vantaggi della specializzazione nella produzione. Secondo, la principale causa della debole crescita economica dell’Italia negli ultimi decenni è la sua produttività stagnante. Secondo i dati Ocse 2010-2023, il nostro paese non è solo fanalino di coda (fa peggio di noi solo la Grecia), ma i divari di produttività con i paesi più virtuosi sono ampi e significativi. Un aumento della spesa militare indirizzata al miglioramento tecnologico potrebbe contribuire a un importante recupero di produttività, elemento portante per ridurre il divario di crescita con gli altri paesi a economia avanzata.
In una recente intervista pubblicata sul Foglio, l’ex premier britannico Tony Blair afferma che “la chiave dell’economia è la competitività e la chiave della competitività è la tecnologia. In questo oggi l’Europa – e men che meno l’Italia al suo interno aggiungiamo noi – non sono protagoniste. Ci sono gli Stati Uniti e la Cina. L’Europa ha molto da recuperare”. In questo contesto, difesa e tecnologia sono due strumenti complementari affinché l’Europa e l’Italia possano recuperare il posto che spetta loro nello scacchiere economico e geopolitico internazionale.