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l'audizione
Quanto costa la crisi demografica. I numeri dell'Ufficio parlamentare di bilancio
Il calo della popolazione continuerà accompagnandosi all'invecchiamento progressivo. I flussi migratori sono un fenomeno positivo per il ricambio demografico, ma non bastano. I problemi per il sud e la necessità di intervenire sul mercato del lavoro
Il trend demografico in corso incide negativamente sulla crescita italiana con impatti rilevanti sul mercato del lavoro, sul pil e sulla spesa pubblica per pensioni, sanità e assistenza agli anziani. Questi i nodi affrontati oggi dalla presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari, in audizione davanti alla commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali della transizione demografica in atto.
Per valutare gli effetti sul debito pubblico, l'Upb ha sviluppato tre scenari alternativi rispetto allo scenario di base. In quello peggiore, la transizione demografica potrebbe comportare un ritorno del deficit sotto il 3 per cento del pil solo nel 2030 e un nuovo superamento di tale soglia dal 2036. Mentre il debito potrebbe salire anche fino al 139 per cento nel 2041. Inoltre, mantenendo invariati i tassi di occupazione per classe di età ai valori correnti, “si genererebbe una perdita di forza lavoro pari a 700.000 unità nel 2030, di ulteriori 1,8 milioni nel decennio successivo e di altri 1,6 milioni dal 2040 al 2050”.
Secondo le più recenti previsioni dell’Istat, l’Italia continuerà a registrare, come sta avvenendo dal 2014, una riduzione della popolazione in termini assoluti. Le proiezioni dell'Upb per il prossimo decennio indicano infatti una crescita potenziale che perderà vigore man mano che il contributo dell'occupazione diviene nel complesso negativo e che si riduce la spinta dell'accumulazione di capitale, per il venire meno degli investimenti del Pnrr. Il sistema pensionistico, prosegue il documento, si troverà a fronteggiare pressioni di spesa significative nei prossimi quindici anni mentre, nel lungo periodo, le sfide riguarderanno piuttosto l'adeguatezza delle prestazioni previdenziali con importi medi delle pensioni che si ridurranno rispetto ai redditi medi da lavoro. E solo nel caso in cui l'allungamento dell'aspettativa di vita non comporterà aumenti di problemi di salute, la crescita delle principali ulteriori spese legate all'invecchiamento della popolazione (ovvero sanità e long-term care) potrebbe essere più moderata.
I flussi migratori internazionali contribuiscono al ricambio demografico. Eppure, sottolinea l'Upb, “non riescono a controbilanciare il declino naturale e le perdite di capitale umano dovute all’emigrazione, composta prevalentemente da giovani qualificati". Specialmente se i divari territoriali sono ulteriormente appesantiti dalle migrazioni interne, con un flusso netto di popolazione e capitale umano dal Mezzogiorno si dirige verso il centro-nord, "rendendo alcune aree fragili e a rischio di spopolamento”.
C'è poi il tema del mercato del lavoro, dove le ricadute economiche dell'inverno demografico si fanno particolarmente sentire. Nonostante il tasso di partecipazione sia cresciuto in misura considerevole (raggiungendo il 66,7 per cento nel 2023) da dopo la pandemia, il dato è largamente inferiore a quello medio della Ue. Risultati in gran parte dovuti all'inattività, che coinvolge 12 milioni di persone tra 15 e 64 anni nel 2024. Due terzi di questi è costituito da donne, mentre oltre la metà è connotato da bassi livelli di scolarità.
I settori di intervento sono molteplici, e la politica prova a fare la sua parte. Allo studio del ministero dell'Economia ci sarebbe un imponente sconto fiscale calcolato in base al numero dei figli. Come spieghiamo qui, si tratterebbe di “super detrazione” per le madri di 2.500 euro per il primo figlio che cresce di 5.000 euro per ogni figlio ulteriore, da aggiungere ad alcune misure per la natalità adottate dal governo. Non è la prima volta che un'idea simile salta fuori, dato che era già stata valutata per la legge di Bilancio dell’anno scorso.
Nel frattempo, per l'Upb occorre “intervenire al più presto per contrastare il calo dell’offerta di lavoro e comprimere l’indice di dipendenza degli anziani", aumentando al contempo la produttività e migliorando le condizioni economiche e reddituali di una popolazione attiva che si troverà a sopportare il peso di una quota crescente di anziani. Per tale motivo, saranno necessarie “politiche che favoriscano una più ampia partecipazione al mercato del lavoro, volte ad aumentare la numerosità degli attivi e a migliorare le condizioni di occupabilità degli individui in età da lavoro": dagli interventi per incrementare il livello d’istruzione e riqualificare le competenze professionali, soprattutto per i giovani, a strumenti per garantire una più agevole conciliazione della vita con il lavoro. Mentre per incentivare l’ingresso nel mercato del lavoro delle donne, servirà “rafforzare le politiche di conciliazione e assicurare una maggiore presenza pubblica nei servizi di cura della famiglia (figli e familiari anziani), attività in cui è ancora prevalente la presenza femminile".
Guardando al breve termine, poi, i flussi migratori possono sopperire alle carenze di manodopera che già si registrano in settori quali il turismo e le costruzioni. Tuttavia, è ancora bassa la quota di immigrati con titolo di studio almeno pari alla laurea (13,9 per cento, contro il 31,8 nella media europea), contro un elevato numero di laureati italiani che cercano all’estero opportunità di lavoro in linea con le loro aspettative di carriera e crescita professionale. “Colmare il divario richiede migliori condizioni lavorative e un ambiente favorevole – sottolinea l'Upb – a sviluppare un progetto di vita radicato nel paese. È un terreno fertile per politiche pubbliche volte a migliorare infrastrutture e servizi sul territorio, con un’attenzione particolare alle esigenze delle giovani famiglie”.
Per quanto riguarda i flussi in uscita dal mercato del lavoro, l'Upb consiglia l'introduzione di incentivi volti a prolungare la durata dell’attività lavorativa e misure mirate a un più rapido reinserimento dei disoccupati: “Trattenere gli attivi più a lungo nel mercato del lavoro contribuirebbe infatti a mantenere elevato il tasso di partecipazione, riducendo, a parità di altre condizioni, l’indice di dipendenza dei pensionati”.