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Crescita e clima
Per adattarsi al gran caldo serve anche scommettere di più sul pil
Cambiare gli stili di vita, piantare alberi e aumentare la climatizzazione di case e uffici sono alcuni dei rimedi per convivere con le temperature più alte. Ma tutto questo implica investimenti importanti, e nella corsa all’adattamento saranno i paesi più ricchi a cavarsela meglio
Fa caldo, non c’è dubbio. E l’anno in corso sembra la ripetizione dell’anno scorso, con punte di temperatura fuori dalla norma e valori mediamente molto alti. Inevitabilmente, la discussione si concentra sulle cause e su cosa occorra fare. E qui arrivano altre brutte notizie. La maggior parte degli studiosi del clima condivide la spiegazione data dall’Ipcc, l’organismo dell’Onu che studia il cambiamento climatico. Il surriscaldamento del pianeta sarebbe dovuto all’aumento della concentrazione di gas climalteranti – a cominciare dalla Co2 – nell’atmosfera, con conseguente amplificazione dell’effetto serra. Un meccanismo che, da benefico regolatore del calore solare, si è trasformato in una trappola. Il che vuol dire che siamo messi molto, molto male.
Le emissioni continuano ad aumentare senza sosta. Dal 1990 a oggi ne abbiamo accumulate tante quanto quelle immesse in tutti i secoli precedenti dalle attività umane. Anche se si raggiungesse il famoso “picco” – cioè il momento in cui le emissioni smettono di crescere – si tratterebbe comunque di nuovi volumi giganteschi di gas serra, che si sommerebbero a quelli già presenti in atmosfera. E anche se, ipoteticamente, smettessimo di immettere anche solo un grammo in più, il tempo necessario per lo smaltimento naturale sarebbe comunque di almeno un secolo. Nel frattempo, il fabbisogno energetico di molte aree del mondo – India, Africa e altri Paesi emergenti – continua a salire, facendo aumentare le emissioni complessive. Di conseguenza, la possibilità di ridurre in modo sensibile la componente negativa dell’effetto serra è oggi praticamente nulla. Il che non significa che non si debba tentare ogni strada per intervenire. Ma questi sono i fatti.
C’è però anche una minoranza qualificata di scienziati che propone un’altra spiegazione: e se i mutamenti climatici fossero dovuti a fenomeni ricorrenti di origine naturale, come le variazioni dell’attività solare, i cicli delle nubi, l’inclinazione dell’asse terrestre o altri fattori fuori dal controllo umano? Forse potremmo sentirci meno colpevoli. Ma il risultato finale non cambia. E la domanda resta: quanti secoli ci vorranno prima che il clima torni alla normalità? Dunque, rimane una sola risposta: adattamento. Dobbiamo imparare a convivere con temperature elevate, cercando di ridurre al minimo gli effetti negativi. Occorrerà cambiare gli stili di vita: le ore centrali della giornata diventeranno proibitive, soprattutto per chi lavora all’aperto. Bisognerà piantare alberi a più non posso, soprattutto nelle città, aumentare la climatizzazione di case e uffici, proteggere le fasce più deboli della popolazione, affrontare con misure concrete sia i regimi di precipitazioni estreme sia i periodi di siccità. Marine Le Pen lo ha intuito al volo, proponendo “aria condizionata per tutti i francesi” e attaccando le élite che “tanto l’aria condizionata ce l’hanno già”.
La provocazione ha colto un punto: adattarsi non è impossibile. In molte aree del mondo – dagli stati meridionali degli Stati Uniti, all’America Latina, fino a diversi paesi arabi come gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita – si lavora e si vive da anni in condizioni di caldo estremo. Ma anche qui arriva una notizia meno rassicurante: tutto questo implica investimenti importanti. La climatizzazione, per esempio, è oggi nel mondo il principale motore dell’aumento nei consumi elettrici. Raffrescare costa, consuma, richiede reti moderne in grado di sopportare i picchi di domanda, soprattutto nelle ore serali. Alcune città italiane, come Torino e Milano, hanno già sperimentato black-out dovuti alla scarsa adattabilità delle infrastrutture. E poi serve energia, tanta energia, che in buona parte del mondo è ancora prodotta da fonti fossili. Con tutte le conseguenze del caso. E’ facile prevedere che nella corsa all’adattamento saranno i paesi più ricchi a cavarsela meglio. Il Pil non sarà l’indice della felicità, ma somiglia molto alla benzina nel serbatoio: se ce l’hai, puoi decidere dove andare. Altrimenti, resti a guardare il panorama.