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l'indagine

Le medie imprese in Italia sono produttive e fanno meglio che in Spagna

Dario Di Vico

Dal 2014 al 2023, la produttività del lavoro è cresciuta del 31,3 per cento, a un tasso medio annuo del 3,1 per cento, e anche il raffronto internazionale ci premia. I dati di Mediobanca e dell'Istituto Tagliacarne danno una fotografia meno sfocata del nostro sistema imprenditoriale, con qualche spunto per il futuro

Le medie imprese italiane sono in buona salute. A certificare la diagnosi sono Mediobanca e l’Istituto Tagliacarne che hanno indagato un largo campione di imprese manifatturiere tra i 50 e i 500 addetti, con un fatturato superiore ai 19 milioni ma inferiore ai 415, con assetto proprietario autonomo e a prevalente controllo familiare. Questa classe media delle imprese italiane – che per capirci si colloca in basso rispetto alle multinazionali tascabili e in alto rispetto al corpaccione delle Pmi – ci regala più qualche soddisfazione proprio quando mala tempora currunt. E quindi sono meritevoli di ampia citazione. La sorpresa maggiore, sottolineata da Mediobanca che ha lunga expertise nell’ambito delle indagine su questo segmento di imprese, riguarda la produttività ovvero il tallone d’Achille dell’economia italiana. Analizzando i risultati di un decennio, dal 2014 al 2023, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che la produttività del lavoro è cresciuta addirittura del 31,3 per cento, a un tasso medio annuo del 3,1 per cento. Un trend non molto distante dalla performance dei grandi gruppi quotata al 4,4 per cento annuo. Ma non è finita. I raffronti internazionali che sono un’altra delle maledizioni italiche questa volta ci premiano: le medie imprese spagnole hanno incrementato la produttività del 29,9 per cento, le tedesche del 25,8, le francesi del 20,2 per cento.

 

                           

 

Anche i dati sulle vendite e occupazione, sempre nel decennio 2014-2023 incoronano la classe media delle imprese con rispettivamente +54,9 per cento e +24,2. Paragonate alle sorelle delle maggiori economie europee in questo caso le Mid-Cap italiane sono secondo solo alle spagnole. Poi se vogliamo capire quanto le medio-familiari contano sull’intero manifatturiero italiano qualche dato può essere ancora utile: il 17 per cento del fatturato, il 16 del valore aggiunto e il 14 dell’export. Se vogliamo aggiungere un’istantanea sui settori a maggiore presenza possiamo dire che siamo ancorati al trinomio meccanica, food e chimico-farma-cosmetica. Con quest’ultima specializzazione segnalata in forte avanzata.

I dati di cui sopra si fermano al 2023 ma Mediobanca e Tagliacarne ci danno anche qualche traccia per il tormentato 2025. Il giro d’affari dovrebbe crescere del 2,2 per cento, l’export nonostante tutto del 2,8. La cosa importante è che nella classe media non c’è quel calo di motivazione imprenditoriale che potremmo paventare: il 69,6 per cento infatti vuole crescere in nuovi mercati oltreconfine. Secondo Gabriele Barbaresco, direttore dell’Area Studi di Mediobanca “è dal post-Covid che le medie imprese ravvisano la necessità di raggiungere una dimensione funzionale alla complessità del contesto”. Si tratta di un obiettivo “da perseguire con prudenza perché comporta interventi organizzativi, manageriali e di governance”. Un certo interesse riveste anche quella parte dell’indagine che indaga sui timori di questa classe media di imprenditori capaci di valorizzare al massimo la loro specializzazione e la strategia delle nicchie di mercato. Il 69,9 per cento teme più di tutto la concorrenza low cost (aggiungere cinese è quasi pleonastico). Un’invasione di prodotti dall’Estremo Oriente che faccia concorrenza sleale e battaglia sui prezzi viene paventata più del contesto geopolitico instabile e dei costi dell’energia. Molto probabilmente è anche il versante in cui l’imprenditore familiare si sente meno protetto. Odia la burocrazia, sogna sempre un fisco più amico delle imprese ma sa che i cinesi possono mettere fuori mercato intere specializzazioni, come del resto è successo dopo la crisi del 2008 con i prodotti made in Italy a basso valore aggiunto. Stavolta saliamo di gamma e il pericolo merita doppia segnalazione.

I dati di Mediobanca ci aiutano in questa fase ad avere una fotografia meno sfocata del nostro sistema delle imprese. Che volendo usare la tradizionale metafora del treno vede le carrozze di testa e quelle intermedie viaggiare a buona velocità e con buoni standard di servizio mentre segnala crescenti difficoltà delle piccole imprese rimaste loro malgrado fuori dalle filiere di fornitura o troppo deboli per presidiare da sole una nicchia di mercato. Per mettere ulteriormente a fuoco quest’immagine del treno vale la pena ricordare come le imprese non finanziarie detengano presso le banche uno stock di liquidità di ben 417 miliardi a cui vanno aggiunti 100 di famiglie attive nell’artigianato e nel commercio. E’ possibile mobilitare queste risorse verso gli investimenti per attraversare le grandi transizioni? Con qualche iniezione di pedagogia non dovrebbe essere impossibile solo che non si intravedono né medici né infermieri che godano della necessaria fiducia.
 

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