Mad in Italy

L'industria alimentare cresce, nonostante i dazi esterni e quelli interni

Luciano Capone

Paolo Barilla celebra la crescita di UnionFood: fatturato di 58 miliardi di euro (+2,6%), di cui 23 miliardi (il 40%) di export (+11,4%). Ma sull sfondo ci sono il timore delle tariffe di Trump, la Sugar tax, il mancato accordo Ue-Mercosur e il ddl Lollobrigida "permeato di sentimento antindustriale"

Il 2024 è stato un anno positivo per l’agroalimentare italiano, trainato soprattutto dall’export (record storico di 70 miliardi di euro, +7,5% sul 2023). E questa spinta si riflette nei dati presentati da Unione Italiana Food nella sua settima assemblea annuale. L’associazione, che rappresenta oltre 500 aziende e 900 marchi dell’industria alimentare che occupano 100 mila addetti e investono 3 miliardi l’anno, nel 2024 ha registrato un fatturato di 58 miliardi di euro (+2,6%), di cui 23 miliardi (il 40%) derivanti dall’export (+11,4%). “Siamo orgogliosi del nostro essere industria e vogliamo far conoscere a tutti cosa c’è dietro questo termine che alcuni considerano in modo riduttivo”, dice il presidente di Unionfood, Paolo Barilla, dall’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo dove l’associazione presenta i risultati.

I dati dell’export sono positivi anche nei primi mesi del 2025, nonostante l’incognita dei dazi Usa, che rappresentano il primo mercato extra Ue e potrebbero frenare il motore delle esportazioni. “I dati dell’export sono un segnale della qualità e dell’eccellenza dei nostri prodotti”, dice Barilla.  Alla domanda sul fatto che il buon andamento dei primi mesi dell’anno potrebbe essere l’effetto di un anticipo degli acquisti proprio per timore dell’introduzione dei dazi, Barilla risponde con ottimismo che “nell’andamento dell’anno c’è un po’ di tutto, ed è presto per fare considerazioni finali. Forse c’è un po’ di accaparramento per anticipare i dazi, ma il prodotto italiano ha una reputazione talmente alta” che resisterà all’impatto dei dazi di Trump: “L’export può forse crescere meno, ma penso non ci sarà un impatto recessivo”.

Se le esportazioni sono state il principale motore della crescita dell’industria alimentare, che rappresenta uno dei comparti più vivaci del made in Italy, la situazione è più complessa sul fronte domestico. “Negli ultimi tre anni la perdita di potere d’acquisto e la pressione inflattiva hanno colpito anche i consumi alimentari, spingendo il consumatore a scelte di risparmio e riducendo il valore aggiunto”, dice Paolo Barilla. Alcuni comparti, come quello dei dolci, che vale quasi 19 miliardi è cresciuto del 2,5% solo grazie all’export che ha più che compensato una riduzione della domanda interna.

Con un mercato domestico debole, in attesa che venga ricomposta la perdita di potere d’acquisto dei salari dovuta all’inflazione, un ruolo importante lo giocano – come detto – i mercati esteri europei ed extra Ue. Asia, Medio oriente e Sud America possono offrire nuove opportunità, ma serve anche innovazione. Che, spiega Barilla pensando al mercato asiatico, vuol dire andare incontro ai gusti del mercato “proponendo soluzioni finali che sembrano in contrasto con la nostra cultura”. Altro elemento indispensabile per conquistare i nuovi mercati è la dimensione delle imprese (“La parte commerciale è importante e la dimensione conta”, dice) e l’apertura dei mercati. Alla domanda sull’accordo di libero scambio con il Mercosur (Sud America), su cui il governo italiano è scettico, Barilla non ha una risposta: “Abbatte i dazi, fa bene al nostro settore, ma bisogna vedere cosa succede a livello agricolo... bisogna conoscere in profondità, non mi sento in grado di rispondere” (anche se, in realtà, UnionFood ha già definito l’accordo “un’opportunità” in un’area “strategica” perché ha “margini di crescita molto interessanti”).

Il rapporto con la politica, per un settore di cui governo e opposizione fanno vanto, non è semplice. Sulla Sugar tax, che il governo vuole rinviare e il Pd introdurre, Barilla dice che “le tasse non sono la soluzione a certi temi. Serve un lavoro di cultura ed educazione” partendo “nei primi anni della scuola” perché “l’individuo deve avere un buon rapporto col cibo e non paura del cibo”. 

Ma quello fiscale non è l’unico fronte su cui l’industria alimentare si sente sotto attacco. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, su impulso della Coldiretti, ha presentato un ddl “agroalimentare” o “made in Italy” che introduce nuovi reati e aumenta le sanzioni allo scopo di contrastare le frodi alimentari. “Stando ai testi a oggi circolati – dice il direttore generale di UnionFood, Mario Piccialuti – esprimiamo perplessità in relazione a un approccio sbilanciato del provvedimento, che sembra permeato di sentimento antindustriale e orientato a punire le sole industrie di trasformazione, con sanzioni peraltro eccessive e sproporzionate. Siamo da sempre a favore della tutela del made in Italy, di cui le aziende di Unione Italiana Food sono alfieri, ma riteniamo che l’impegno delle istituzioni vada indirizzato soprattutto nella difesa delle nostre produzioni all’estero”. 

Minacciata all’estero dai nuovi dazi, ostacolata da quelli vecchi che il governo non si batte per rimuovere, obiettivo di nuovi reati e balzelli interni, l’industria agroalimentare italiana continua, nonostante tutto, a crescere. E a fare più grande quel Made in Italy di cui si vanta anche chi lavora per ostacolarlo.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali