
Ansa
il taglio dei tassi d'interesse
Cosa cambierà nelle banche con il ritorno del tasso Bce al 2 per cento
La politica monetaria da sola non basta. Secondo la Fabi, servono scelte politiche e bancarie più coraggiose per rilanciare credito, crescita e occupazione. Sui mutui, però, qualcosa si muove
Il ritorno del tasso Bce al 2 per cento è stato salutato con grande soddisfazione da forze politiche e associazioni di categoria perché dovrebbe stimolare l’economia, tanto più che si prevedono altre sforbiciate entro fine anno (tasso terminale atteso tra 1,5 e 1,7 per cento). Ma sarà veramente così? Secondo la Fabi, la Federazione autonoma dei bancari guidata da Lando Maria Sileoni, per favorire davvero l’accesso al credito di famiglie e imprese non basta ridurre il costo del denaro: “Serve una regia politica”. Questo perché a fronte dei primi sette tagli apportati dalla Bce a partire da giugno 2024 fino a oggi (l’ottavo) non si sono visti vantaggi rilevanti per famiglie e imprese. “La politica monetaria può aprire la porta, ma se il settore bancario la tiene socchiusa, il rilancio dell’economia resta sulla carta”, osserva Sileoni, secondo il quale i segnali che arrivano dai dati sui mutui e sui prestiti alle imprese mostra che i benefici del nuovo corso monetario si stanno affacciando con lentezza, mentre quello che servirebbe per la crescita del paese e l’occupazione è “uno scatto in avanti”. Ecco i dati elaborati dalla Fabi: da dicembre 2022 a marzo 2025, lo stock dei prestiti bancari alle aziende si è ridotto di 46 miliardi di euro, passando da 647 a 601 miliardi. Un calo netto del 7,1 per cento che, dicono gli esperti, è frutto principalmente dalle difficoltà di accesso al credito da parte del sistema produttivo, aggravate dai tassi elevati, maggiore selettività delle banche e un contesto economico incerto sia a livello internazionale (guerre, dazi) sia a livello interno (crescita debole).
Ma il dato più interessante è che il livello minimo assoluto dei finanziamenti è stato raggiunto a ottobre 2024 (596 miliardi cioè 51 miliardi in meno rispetto a fine 2022) quando, cioè, le banche italiane erano in piena età dell’oro: continuavano a registrare crescita a due cifre dei profitti che già era stata da record nel 2023 grazie ai tassi elevati. “E’ il cavallo che non beve”, ha sempre risposto l’Abi, l’associazione delle banche italiane, a chi protestava per le scarse erogazioni al mondo produttivo. Il che è anche vero perché incertezza e tensioni geopolitiche internazionali non aiutano le decisioni di investimento, ma non si può escludere che gli istituti abbiano per un certo periodo trovato più conveniente tenere la liquidità presso la Bce che pagava il 4 per cento sui depositi piuttosto che correre il rischio di vedere di nuovo crescere i crediti deteriorati finanziando un’economia reale attraversata da vari choc. Le cose sono solo un po’ migliorate negli ultimi tempi. Lo stock complessivo dei prestiti bancari alle imprese è passato dal minimo di 596 miliardi di ottobre 2024 a 601 miliardi di marzo 2025 (più 5 miliardi). Peraltro, quest’ultimo è proprio il periodo in cui è scoppiato il famigerato risiko bancario, una fase di consolidamento molto temuta proprio dal mondo delle imprese perché pensa che porterà a un peggioramento delle condizioni di accesso al credito, teoria di cui, comunque, non ci sono prove. Ad ogni modo, vero è che non basta che la Bce allenti le condizioni monetarie e che occorre che questo stimolo venga trasmesso con prontezza al mondo reale altrimenti, c’è il rischio che essere tornati al tasso del 2 per cento rappresenti solo un meccanismo tecnico-finanziario, sebbene indispensabile per mantenere la stabilità dei prezzi. Qualche effetto in più si vedrà sui mutui che ha già fatto registrare nelle ultime settimane il sorpasso del tasso variabile sul fisso.
Secondo un report di Mutuionline, a seguito del taglio di oggi, il Tan (Tasso annuale netto) medio dei prestiti a tasso variabile a 20 o 30 anni è destinato ulteriormente a calare nelle prossime settimane, passando dal 2,83 per cento rilevato a maggio al 2,58 per cento. Si tratta di una flessione di quasi 90 punti base rispetto a gennaio, quando il Tan del variabile era al 3,71 per cento, e di oltre due punti percentuali rispetto a maggio 2024 (4,77 per cento), che porterà a un risparmio di rata mensile di circa 18-20 euro per un prestito di 140 mila euro. Sempre la Fabi ricorda che sono i titolari di mutui a tasso variabile ad aver patito gli effetti della fiammata dei tassi del biennio 2022-2023, con le rate salite anche del 70-80 per cento. Sul totale di 25,7 milioni di famiglie italiane, quelle che hanno un prestito per la casa sono circa 3,5 milioni, su complessivi 6,9 milioni di cittadini indebitati anche con altre forme di finanziamento, come il credito al consumo e i prestiti personali, i cui costi hanno già cominciato una lieve discesa.