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L'intervista

“E l'Ue metta dazi all'America che produce all'estero”, dice Silvagni

Mariarosaria Marchesano

Dato che importiamo beni con brand statunitensi (ma provenienti da paesi terzi), “applichiamo un dazio del 20 per cento sulle merci che le aziende americane fanno arrivare in Europa". L'idea del numero uno di Valleverde contro le minacce di Trump

Venerdì scorso Donald Trump ha minacciato dazi del 50 per cento con l’Europa e nel weekend li ha sospesi fino al 9 luglio. Elvio Silvagni, produttore di scarpe e proprietario del gruppo Valleverde, parlando con il Foglio delle possibili soluzioni, osserva: “Qualcuno ha mai riflettuto sul fatto che l’Europa importa merci da marchi statunitensi che producono in estremo oriente?”. Silvagni, che pure dice di comprendere la necessità di Trump di riequilibrare la bilancia commerciale, fa notare un paradosso dell’import-export tra le due sponde dell’Atlantico: nella maggior parte dei casi, l’America compra merci prodotte qui in Europa, abiti di alta moda dall’Italia, vino dalla Francia, olio d’oliva dalla Spagna e così via.

Viceversa, l’Europa importa beni con brand statunitensi che però molto spesso arrivano da paesi terzi. E’ un classico effetto della globalizzazione, non crede? “Ma quante di queste importazioni vengono conteggiate nella bilancia commerciale con l’America? Davvero c’è tutto questo surplus? – si domanda l’imprenditore – Pensiamo ad esempio ai grandi marchi americani di calzature sportive, telefonini, e altri prodotti ancora. Queste aziende non producono negli Stati Uniti ma ci fanno arrivare i loro prodotti da aree (spesso asiatiche) dove, tra l’altro, ci sono condizioni di lavoro e salari che sarebbero inaccettabili qui in Europa, incentivi alle esportazioni e altre pratiche di vera concorrenza sleale per i produttori europei”. E dunque? “Si parla molto di quale debba essere la risposta alle nuove minacce di Trump. Perciò, questa è la nostra idea: applichiamo un dazio aggiuntivo del 20 per cento a tutte le merci che le aziende americane, o riconducibili a una casa madre americana, fanno arrivare in Europa, dazio che viene interamente annullato se l’azienda americana produce effettivamente negli Stati Uniti. Se il noto marchio americano di calzature sportive continua a farci arrivare le scarpe dal Far East, si applica un ‘sovradazio’ pari a quelli che l’America applicherà all’Europa. Se, invece, ce le fa arrivare dagli Stati Uniti, nulla. Se la grande multinazionale americana di telefonini continua a farci arrivare gli smartphone dal Far East, applichiamo tariffe aggiuntive. Se ce li fa arrivare dagli Stati Uniti, nulla. E così via”.

Non le sembra una soluzione troppo complessa? “Certo, bisognerebbe tracciare tutto il percorso che fanno le merci, ma sarebbe un modo equo di trattare. Non vedo molte altri rimedi, anche perché l’attesa svalutazione dell’euro che potrebbe compensare in parte le mancate esportazioni verso gli Stati Uniti non sta avvenendo. Semmai vediamo il contrario. Questo vuol dire che saremo sempre meno competitivi a vantaggio di paesi come Cina e India che sono in grado di svalutare la moneta in tempi molto brevi”.

Ora, però, l’America ha alzato il tiro chiedendo all’Unione europea di allentare anche quelle che sono regole e princìpi generali degli scambi commerciali, come la tutela dei consumatori e la privacy. E’ su questo che adesso si stanno svolgendo i negoziati. “Se Bruxelles pensa di risolvere il tutto colpendo le big tech è fuori strada, a mio parere, perché inasprirà ancora di più le relazioni con la Casa Bianca. Se, invece, cerca una soluzione equa che riequilibri i rapporti commerciali dando anche respiro ai produttori europei compie un doppio passo in avanti. L’Europa è sempre in prima linea quando c'è da regolamentare auto, sostenibilità, intelligenza artificiale e così via. Sembra che settori come quelli dell’abbigliamento e delle calzature non interessino a nessuno”. In realtà, sono in corso trattative che non si sono interrotte anche dopo l’ultimo annuncio di Trump.

“Sì, ma c’è troppa incertezza, nel frattempo noi produttori che facciamo? Stiamo pianificando le prossime collezioni e non sappiamo come calcolare i prezzi, se tenere o meno conto di nuove tariffe, dobbiamo creare modelli, fare campionari, prendere accordi di distribuzione, il tutto nella più totale incertezza. La mia sensazione è che l’Europa sia troppo lenta e tratti il problema posto da Trump sul piano geopolitico mentre potrebbe mettere sul tavolo una soluzione pratica soddisfacente per entrambe le parti come quella che ho appena descritto”. Insomma, visto dall’ottica di un piccolo-medio imprenditore manifatturiero, i dazi di Trump sono l’ultimo choc in pochi anni dopo pandemia, guerra in Ucraina e crisi del Mar Rosso, solo che questa volta Bruxelles deve dimostrare quanta capacità negoziale riesce a mettere in campo

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