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Tassare gli “ultraricchi"
“Tax the Rich”: l'appello di Oxfam che se ne fega della Costituzione
Nonostante in Italia siano vietati referendum su materie tributarie, un manifesto propone di stimolare una “crescita sostenibile e inclusiva" attraverso un maggiore prelievo a carico dei contribuenti più facoltosi. Ma ad appoggiarlo sono in pochi
Si è spesso ingenerosi con l’opposizione, segnalandone la capacità di dividersi su questioni di grande come di piccola rilevanza. Ma quando poi accade il contrario, non si è spesso altrettanto pronti nel segnalarne la disponibilità a marciare unita. Solo qualche settimana fa se ne è avuta la riprova in occasione della discussione – alla presenza di tutti i leader dell’opposizione – di una proposta di tassazione dei cosiddetti “ultraricchi” che prende spunto da una recente iniziativa targata Oxfam. Parliamo del manifesto Tax the Rich che propone di “aumentare l’equità del nostro sistema impositivo, garantire maggiore sostenibilità alle finanze pubbliche […] reperire le risorse necessarie per stimolare una crescita sostenibile e inclusiva, supportare politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, finanziare investimenti nella transizione ecologica giusta, nei beni pubblici essenziali come sanità e istruzione e nel contrasto all’ampliamento dell’area della vulnerabilità ed esclusione sociale”. Come? Beh, non ci vuole molta immaginazione: attraverso un maggiore prelievo a carico dei contribuenti più facoltosi (lo 0,1 per cento più ricco della popolazione).
Di manifesti e appelli è piena la cronaca di questo paese e quindi si potrebbe semplicemente associare anche questo manifesto ai tanti che lo hanno preceduto e agli altrettanti che lo seguiranno e passare oltre. Pur essendo, in questo caso, l’elenco dei firmatari tanto lungo quanto significativo, essendovi rappresentata una parte importante dell’accademia italiana e pur comparendovi molti economisti di grido. Ma forse, in questo caso, sarebbe un errore. Per motivi di forma oltre che di contenuto.
Su questi ultimi si può dibattere a lungo. E sarà il caso di farlo. Molte delle affermazioni contenute nel manifesto circa i caratteri del nostro sistema fiscale e circa le origini delle sue attuali, tante distorsioni sono tutt’altro che pacifiche. Così come lo sono molte delle considerazioni relative alle tendenze della distribuzione dei redditi e della ricchezza in molti paesi. Sono – questo è vero – affermazioni e valutazioni considerate dai più incontrovertibili e fonte di indignazione, ma questo non le rende meno discutibili. Tanto più in quanto trovano l’autorevole supporto di Oxfam, il cui uso disinvolto delle statistiche è noto da tempo.
Ma fermiamoci, per il momento, alla forma. L’argomento principe che il manifesto riporta a sostegno delle sue tesi è la “larga condivisione” delle tesi del manifesto stesso da parte della popolazione europea e italiana. Mettiamo da parte il fatto che il manifesto avrebbe a oggi trovato il sostegno di poco più di 300 mila cittadini europei: lo 0,07 per cento della popolazione europea. Una percentuale, si noti, inferiore a quella dei super-ricchi: a conferma della natura scivolosa del concetto di “larga condivisione”. Ma l’aspetto sorprendente è un altro: il sito di Oxfam Italia riporta i risultati di una indagine demoscopica fra cui spiccano – che ci si creda o meno – le seguenti domande: “Sarebbe preferibile aumentare il prelievo a carico dei più ricchi per usufruire tutti di maggiori e migliori servizi pubblici o, invece, pagare tutti meno tasse e avere meno servizi pubblici?” o anche “I super ricchi dovrebbero essere maggiormente chiamati a far fronte ai bisogni della collettività?”, per fare solo qualche esempio.
Nella sua saggezza, la Costituzione italiana – che i firmatari del manifesto non esiterebbero a considerare “la più bella del mondo” – vieta il referendum su materie tributarie. Si trattò, a suo tempo, di una esclusione così ovvia che il comma fu votato senza alcuna discussione. Ma evidentemente il punto è sfuggito ai firmatari del manifesto. Fino a qualche decennio fa si arrivava a studiare Economia provenendo dalla facoltà di Giurisprudenza. Forse non era una cattiva idea.