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il caso

Il governo non dà segnali a Unicredit. Lega rigida sui paletti all'Ops

Mariarosaria Marchesano

L'incertezza politica e le divisioni nella maggioranza bloccano l'operazione di Banco Bpm e Unicredit. Il governo non chiarisce la sua visione strategica per il sistema bancario. Intanto Crédit Agricole osserva e resta sullo sfondo come possibile alternativa

Piazza Meda, sede di Banco Bpm, e Piazza Gae Aulenti, quartier generale di Unicredit, sono distanti solo 2,8 chilometri, meno di mezz’ora a piedi nel centro di Milano, ma non sono mai state così lontane. L’eco dell’assemblea di Bpm di ieri, con l’invito rivolto a Unicredit dal presidente, Massimo Tononi, e dell’amministratore delegato, Giuseppe Castagna, a prendere atto che le “condizioni dell’Ops non ci sono” è arrivato forte ai piani alti del grattacielo di Gae Aulenti dove il numero uno, Andrea Orcel, sta cercando di capire se esistono margini di trattativa sul Golden Power posto dal governo Meloni all’operazione. Per adesso, però, segnali da Palazzo Chigi non sono arrivati e così sull’Offerta pubblica di scambio di Unicredit su Banco Bpm, partita ufficialmente il 28 aprile, aleggia la più totale incertezza. Se la situazione dovesse restare invariata anche la prossima settimana, Unicredit molto probabilmente comunicherà al mercato la sua decisione definitiva nel giorno della presentazione dei risultati, il 12 maggio, e potrebbe essere quella di un ritiro.

Avanti, però, c’è ancora un lasso di tempo. All’interno delle stanze del Mef guidato da Giancarlo Giorgetti non si parla d’altro, il dossier Unicredit-Banco Bpm è della massima urgenza anche perché qualifica la posizione dell’esecutivo in Europa su un tema sensibile come quello delle concentrazioni bancarie che avvengono nello stesso paese, processo che, in teoria, non dovrebbe sollevare alcun tipo di obiezione. Anzi, utilizzare il Golden Power per impedire un’operazione “domestica” diventa un modo per depotenziare lo strumento stesso nato per difendere il paese da scalate ostili estere. E’ questa l’idea su cui si sarebbero aperte riflessioni nella maggioranza che sul tema bancario è oggi spaccata. A fronte della Lega, che sembra essersi consolidata su una posizione ostile a Unicredit, Forza Italia si è schierata per il mercato votando contro le prescrizioni poste dal governo alla scalata a Bpm. Inoltre, il Dpcm che contiene tali prescrizioni è stato firmato dalla premier Giorgia Meloni in giorni sovraffollati di impegni istituzionali in cui, a quanto risulta al Foglio, Fratelli d’Italia ha allentato i paletti inizialmente ancora più rigidi posti da Giorgetti, e dal direttore generale del Tesoro, Marcello Sala, per sbarrare il passo ad Orcel. E la ragione è semplice: l’alternativa a Unicredit è una banca autonoma sì, ma con un socio francese forte come Crédit Agricole, che ha ormai raggiunto il 20 per cento. Ieri Castagna ha ribadito di essere fiducioso del percorso fatto finora con Crédit Agricole come azionista mentre il ceo di quest’ultimo gruppo, Luc Brassac, ha detto che deciderà se aderire o meno all’offerta di Unicredit “tra qualche settimana”. Un modo per non chiudere la porta in faccia a Orcel, con il quale ha in corso il rinnovo della partnership di bancassurance, ma anche per prendere tempo in una fase in cui tutto è in discussione. Il socio francese non dispiace alla Lega, perché garantirebbe l’indipendenza di Banco Bpm in un’area, quella della Lombardia e del nord Italia, fondamentale per il partito di Salvini, ma indispettisce l’area politica più vicina alla premier Meloni, che, però, in tutta questa partita bancaria sembra abbia scarse carte da giocare e idee contrastanti.

Si avverte anche nelle parole di Marco Osnato, imprenditore milanese (sposato con la nipote di Ignazio La Russa), deputato di Fratelli d’Italia e presidente della commissione Finanze della Camera quando si compiace per la mossa di Mediobanca su Banca Generali asserendo che “è la dimostrazione che in Italia esiste il libero mercato”. Insomma, al di là del Golden Power su Unicredit, il governo sembra non avere un orientamento univoco su che tipo di assetto finanziario auspica per il paese e sembra più propenso a prendere posizione volta per volta a seconda degli interessi e dei gruppi in campo. Se la difesa dell’italianità è il criterio, questo il ragionamento oggi in Fratelli d’Italia, perché allora lasciare Banco Bpm nelle mani dei francesi? In effetti, perché il Mef considera i francesi come avversari nell’ambito del dossier Stm o in quello Generali-Natixis e, invece, li considera alleati nella banca milanese? Su tutto aleggia l’ipotesi, che qualcuno continua a intravedere, che Unicredit si ritiri da Banco Bpm e che quest’ultimo finisca per confluire a nozze con Mps, concretizzando così il disegno iniziale del governo sul terzo polo. Considerando come si sta evolvendo la partita su Generali, non è più un’ipotesi così campata in aria.