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Il mercato funziona come una casa: oltre alle fondamenta serve altro

Leonardo Becchetti

La realtà economica deve essere un mix complesso fatto di regole istituzionali e dinamismo della società civile. È giusto esaltare i benefici del libero scambio e del suo enorme potenziale, ma non basta

Non gettiamo il bambino con l’acqua sporca, scrive di fatto Alberto Mingardi sul Foglio del 28 aprile nel suo pezzo, in larghissima parte da me condivisibile, dal titolo “Santa Globalizzazione”. Il bambino sono i meccanismi benefici di mercato e libertà degli scambi che spieghiamo agli studenti nel corso di Economia uno. Quelli su cui Trump purtroppo con la guerra dei dazi sta facendo ripetizione a carissime sue (e nostre) spese. Agli studenti spieghiamo come il mercato realizza i benefici dello scambio ed è straordinario nel soddisfare i desideri della domanda pagante. Il capolavoro del mercato è trasformare, attraverso la concorrenza, l’interazione di appetiti individuali al profitto in benessere per i consumatori offrendoci abbondanza di prodotti a prezzi bassi. Viviamo oggi nel migliore dei mondi possibili come consumatori paganti (e anche come azionisti). Ma il benessere o il ben vivere non coincide con il benessere del consumatore e se siamo lavoratori con scarse qualifiche o non abbiamo potere d’acquisto e domanda pagante non godiamo di questi benefici. Usando una metafora, il sistema economico e sociale è come una casa di cui il mercato e i liberi commerci sono le fondamenta. Non c’è casa senza fondamenta ma se ci fermiamo alle fondamenta poi abbiamo quegli scheletri e scempi paesaggistici che purtroppo talvolta ci tocca vedere in giro nella nostra bellissima penisola. La realtà economica per funzionare deve infatti essere un mix complesso fatto di mercato, regole istituzionali e dinamismo della società civile, senza il quale non è possibile costruire belle case.

 

              

 

Non sono l’avvocato difensore del Papa, ma credo che il suo obiettivo fosse quello da pastore di scuotere le nostre coscienze per dire “finitele queste case”. Quello che lui, mettendosi dal punto di vista degli ultimi, osservava e denunciava era lo “scandalo” di un sistema con potenzialità immense (enormemente amplificate ora dal contributo alla produttività dell’intelligenza artificiale), che non è ancora riuscito a sconfiggere la povertà estrema e il parcheggio di poco al di sopra di essa di centinaia di milioni di persone e che, autolesionisticamente, mette in pericolo l’ecosistema, fondamentale per la nostra sopravvivenza. Un’economia “che uccide” riprendendo la sua espressione più forte e, aggiungerei, rischia di suicidarsi.

Tornando alla sostanza, l’acqua sporca sono quelli che chiamiamo tecnicamente “i fallimenti del mercato”. Ovvero, insufficiente produzione di beni pubblici (per i quali non bastano gli appetiti individuali anche se la crescita economica è precondizione per finanziarli), le esternalità negative che può generare la massimizzazione del profitto, i poteri di mercato (monopoli ed oligopoli) e molto altro. L’acqua sporca principale di oggi genera forti diseguaglianze e insostenibilità ambientale, due questioni al centro dell’attenzione di Francesco. Le diseguaglianze all’interno dei paesi sono oggi la conseguenza quasi automatica del prodotto di progresso tecnologico e libertà degli scambi che alimentano un processo di aumento dei differenziali salariali per competenza. In sé potrebbero non essere un problema se sono segno di un ascensore sociale che funziona e se tutto si sposta in alto riducendo la povertà estrema. In realtà, la letteratura scientifica ci suggerisce che molte di esse sono frutto di posizioni di rendita e, come tali, alimentano populismi, complottismi, sfiducia nelle istituzioni e ingenti flussi migratori. Ma soprattutto, in un mondo dove sono in arrivo i primi trilionari, l’idea che la felicità aggregata potrebbe senz’altro essere maggiore con un po’ più di progressività fiscale che funziona (e anche minore diseguaglianza ex ante) viene alla mente. 

Alcune volte poi rischiamo di confondere col mercato situazioni nelle quali ce n’è molto poco e sarebbe meglio che ce ne fosse di più. E’ il caso del settore strategico dell’energia dove l’autoproduzione di singoli cittadini, di condomini e di comunità energetiche, oggi tecnicamente possibile, sarebbe (ed è in parte) una straordinaria opportunità di mercato se non fosse che è soffocata da regole compresse (tempi di allaccio, rimborsi a posteriori invece di net metering) e da poteri di mercato dei grandi player che producono una divisione dei benefici sperequata che penalizza le bollette di cittadini e imprese ed è una zavorra competitiva per il nostro paese come ben sottolineato dal rapporto Draghi. Trasferire benefici sulle bollette non è un problema tecnologico ma ci vorrebbe la volontà politica di farlo. Dovremmo prendere lezioni persino dal Pakistan, che con una forte liberalizzazione delle bollette e sburocratizzazione di allacci e permessi ha installato in lo scorso anno tre volte più capacita rinnovabile di noi.

Con l’economia civile e con il manifesto per il rinascimento economico firmato da 350 colleghi diciamo in sintesi che si può e si deve fare di più per la nostra casa in quattro mosse. Primo, partendo dai dati empirici, non siamo solo homines economici (la cui felicità dipende da consumo e reddito). Ricchezza di senso di vita, generatività, qualità delle relazioni e intelligenza relazionale possono migliorare di molto la nostra vita e quella del mondo in cui viviamo. Secondo, ci sono molte imprese che sono più ambiziose e non guardano solo al profitto ma anche all’impatto sociale e ambientale e questo si concretizza in una ricca biodiversità di forme organizzative che vanno oltre lo schema unico della società per azioni quotata in Borsa dove l’azionista è il dominus e gli altri portatori d’interesse vengono soltanto dopo (pensiamo a vecchie e nuove forme cooperative, a b-corp e benefit corporations, a fondazioni di comunità e molto altro). E la forza delle nostre imprese è piena di storie d’intelligenza relazionale, dai consorzi agroalimentari fino a quelli del riciclo, dove imprese potenzialmente rivali cooperando sono diventate più forti sui mercati.

Terzo, la crescita del pil non è condizione sufficiente dell’aumento di felicità e del progresso sociale. Abbiamo bisogno di indicatori di benessere multidimensionale per leggere la realtà fino a quelli di generatività con cui misuriamo la qualità di vita del paese ogni anno al Festival Nazionale dell’Economia Civile. Quarto ma non ultimo, la democrazia è un albero che può vivere se il terreno è ricco dei sali minerali del civismo, della partecipazione e della cittadinanza attiva. Per questo come economia civile insistiamo molto su questioni come amministrazione condivisa tra politica e terzo settore (sentenza della Corte Costituzionale numero 131 del 2020), comunità energetiche e voto col portafoglio. Una prova straordinaria di ciò che diciamo è arrivata proprio con lo stress test di Trusk al sistema democratico.

Ci saremmo dovuti tenere per almeno quattro anni gli aspetti più bizzarri e devastanti della politica economica  se non ci fosse stata la reazione immediata del voto col portafoglio. I mercati finanziari hanno registrato gli effetti su profitti e valore dei titoli e la fiducia nei titoli di stato americani è crollata aumentando i rendimenti. I consumatori (a partire da quelli canadesi) hanno votato col portafoglio contro i prodotti americani e Musk in particolare ha capito di aver fatto un enorme errore violando la golden rule che stabilisce che chi vende prodotti di massa non può scendere direttamente in politica perché così facendo vedrà crollare gli acquisti da parte dei consumatori dell’altra sponda (praticamente quasi tutti se consideriamo le preferenze degli acquirenti delle Tesla).

In sostanza, è giusto partire dall’esaltare i benefici del mercato e del libero scambio (le fondamenta), dell’enorme potenziale che portano con sé e che hanno realizzato dalla rivoluzione industriale ad oggi. Ma bisogna poi capire che alle fondamenta dobbiamo aggiungere molte altre cose necessarie che arricchiscono in modo straordinario quel potenziale e lo indirizzano nella direzione desiderata.