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L'intervista

Golden power anche no. Enria, ex Bce, spiega cosa non torna nella linea di governo su Unicredit

Mariarosaria Marchesano

A sorpresa, anche il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo Carlo Messina ha espresso apprezzamento nei confronti della banca milanese per l’offerta lanciata su Banco Bpm. La scalata può avere successo, ma "il vero ostacolo è nel timore dei governi di perdere il controllo sui meccanismi finanziamento dell'economia nazionale"

Chi decide sull’operazione Unicredit–Banco Bpm? “Decidono gli azionisti di Bpm e la Bce detta le regole del gioco”. E il Golden Power ventilato dal Mef? “Questa norma è stata fatta per proteggere l’Europa da scalate estere in un momento di vulnerabilità, non dovrebbe poter essere utilizzata dai governi per ostacolare operazioni tra imprese o tra banche”. Andrea Enria, già presidente del Consiglio di vigilanza della Bce, e oggi senior advisor della Bank of England, risponde così al Foglio prima del suo intervento di ieri pomeriggio all’Università Cattolica di Milano sulla regolamentazione del sistema finanziario europeo. Da poco il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, a sorpresa ha espresso apprezzamento nei confronti di Unicredit per l’offerta lanciata su Banco Bpm spiegando che ha la stessa logica industriale dell’opa su Ubi e che la Golden Power dovrebbe ricorrere solo nel caso in cui è in gioco la sicurezza nazionale. Enria coglie la palla al balzo.

 

                          

 

“Ha ragione Messina – osserva - a dire che l’operazione è assimilabile a quella di Intesa su Ubi, anche in quel caso si trattava di un’offerta ostile e a decidere furono gli azionisti. E penso che oggi Unicredit dovrebbe poter avere la medesima opportunità di mandare avanti la sua proposta”. Poi Enria si è seduto al tavolo dei relatori e ha spiegato: “Le banche e altri intermediari devono abbandonare la prassi di sottomettere le loro proposte al vaglio preventivo di governi e autorità nazionali. Le iniziative vanno portate all’attenzione delle autorità europee, che ne faranno un’analisi con quelle nazionali, comunicando i risultati con una sola voce”.  Il punto, per Enria, è che se l’Europa deve trovare  le risorse per finanziare la crescita futura, avere grandi banche aiuterebbe. “Ma il vero ostacolo – afferma – è nel timore che hanno governi e autorità nazionali di perdere il controllo su meccanismi di finanziamento dell’economia (e del bilancio pubblico) nazionale”. Per l’ex numero uno della vigilanza europea l’ostilità dimostrata in alcuni paesi ad acquisizioni cross border “è un modo per intrappolare la capacità creditizia dentro i confini nazionali”.

E ancora sulle fusioni bancarie che non piacciono alla politica, Enria ha citato l’operazione Unicredit-Commerzbank, ostacolata dal governo tedesco, e l’offerta di Bbva su Banco Sabadell che ha creato più di un attrito in Spagna, auspicando che facciano il loro corso e che il Consiglio europeo non resti a guardare ma controlli che il diritto europeo “non venga travalicato da quello nazionale”. Dunque, la vicenda Unicredit–Banco–Bpm–Mps sta assumendo contorni di uno dei casi simbolo di sovranismo bancario contrario all’interesse di un’Europa più forte e più unita. Inoltre, se il capo della più grande banca italiana appoggia il suo principale concorrente di fronte alle barricate del governo, o di una parte di questo, vuol dire che in Italia è in atto uno scontro tra potere finanziario e potere politico senza precedenti. Vero è che il governo Meloni non l’unico in Europa a mostrarsi contrario alle concentrazioni, ma è il solo a farlo in nome di un progetto alternativo, cioè costruire un terzo polo, teoricamente più vicino alle famiglie e alle imprese, minacciando la Golden Power.  Su questo punto ieri il ministro Giancarlo Giorgetti ha insistito: “Esiste un mercato e le leggi del mercato Poi esiste una legge, che non ho scritto io, la legge sul Polden Power” quindi il “governo valuterà perché deve valutare, lo prevede la legge. Non ce lo siamo inventato noi, niente di strano”.

Che si tratti di una puntualizzazione oppure di un modo per ribadire la contrarietà del governo a Unicredit–Banco Bpm si vedrà presto. Intanto, le prassi di mercato vanno avanti. E per quanto il cda della banca milanese abbia bocciato l’ops di Unicredit, non è escluso che la banca guidata da Andrea Orcel cerchi di aprire un negoziato direttamente con gli azionisti di Bpm, come del resto avviene nel caso di offerte ostili. Da giorni, rumors di mercato riferiscono della possibilità che Unicredit migliori l’offerta con un premio in denaro sulla cui entità starebbe già ragionando tenendo conto dell’impatto del mutato scenario di mercato sulla redditività futura della banca milanese. Quest’ultima, dal canto suo, dice di temere il costo sociale di un’integrazione con Unicredit (6000 esuberi). Ma anche una fusione con Mps avrebbe un impatto simile (alcune stime circolate di recente parlano di 4000 esuberi solo in Lombardia), con l’aggravante che a esserne il regista sarebbe il governo.