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l'intervento

L'urgenza di una riforma per l'Europa: in gioco c'è molto più di un mercato. Ci scrive Enrico Letta

Il mercato unico non è astratto ma è un disegno concreto per superare un sistema europeo incapace di attrarre investimenti e competitività. L'ex premier ci spiega perché

Trentuno anni: tanto è il tempo trascorso dall’entrata in vigore del mercato unico, nel 1993. Ancora di più da quando, con una intuizione di successo che avrebbe cambiato la storia del continente e anche la vita dei suoi cittadini, Jacques Delors con l’Atto Unico lanciava il progetto delle quattro libertà, vale a dire la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone entro lo spazio europeo. Allora, per intenderci, l’Unione si chiamava Comunità, esisteva ancora l’Urss, le Germanie erano due e negli scambi globali Cina e India pesavano neanche il 5 per cento del totale.

Già solo queste notazioni di inquadramento storico bastano a restituire il senso dell’urgenza di una riforma che attualizzi il progetto. Ho letto con attenzione il commento di Salvatore Rossi e mi sembra che alcune sue riflessioni fotografino bene questa necessità, oltreché le ragioni alla base del mandato che ho ricevuto, dal Consiglio e dalla Commissione, per scrivere il Rapporto sul futuro del Single Market (Sm). Ragioni riassunte da un titolo, “More than a market”, che forse sì funziona come slogan, ma che soprattutto è sintesi di ciò che c’è davvero in ballo. Vale a dire, appunto, molto di più di un mercato. 

 

 

Questo perché, dietro al completamento delle quattro libertà, c’è la questione strategica dell’influenza di un’Europa invecchiata e poco attrattiva in un mondo più grande, fresco e competitivo di quanto non fosse quarant’anni fa. C’è il rischio deindustrializzazione. C’è il grande dilemma del finanziamento della transizione. C’è la guerra alle nostre porte, senza che noi si possa ancora contare su una difesa comune. C’è la tutela del lavoro minata da delocalizzazioni fuori controllo e concorrenza al ribasso. C’è il destino di un sistema produttivo, nel quale il nodo dimensionale va finalmente sciolto, affrontando uno degli ostacoli maggiori che frenano la crescita delle Pmi europee, quella stratificazione normativa e burocratica da correggersi – ed è una delle misure concrete proposte nel Rapporto – istituendo un 28esimo ordinamento europeo, che le imprese possono scegliere senza più barcamenarsi tra 27 regimi nazionali. 

Completare il mercato unico significa poi agire su quei tre settori – i “grandi assenti”: telecomunicazioni, finanza, energia – che allora furono espunti dal dossier perché reputati troppo strategici per gli interessi nazionali e che invece oggi costituiscono, a causa della frammentazione, un problema serio per il rilancio europeo. 

C’è infine un capitolo che da solo è emblema dell’urgenza di cambiare perché è il mondo stesso che è cambiato e l’Europa non si è ancora attrezzata. Parlo della rivoluzione tecnologica e digitale. Le “quattro libertà” erano intrinsecamente connesse al contesto analogico di prima. Mancava del tutto, perfino nell’ispirazione concettuale, la dimensione immateriale. Dopo la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone, serve ora prevedere una quinta libertà, quella della conoscenza. E per conoscenza intendo la ricerca, i dati, l’AI, il Quantum Computing, la Human Augmentation. Nel Rapporto si propone di inserirla, senza modificare i trattati, nella convinzione che essa possa fungere da potente catalizzatore di innovazione e dunque da potenziale game changer.

Per redigere il Rapporto, in continuità con il metodo Delors, ho avuto oltre 400 incontri, interagendo, in 65 città europee, con i governi degli stati membri, dei paesi candidati all’adesione e di quelli che condividono il Sm anche senza far parte dell’Ue. Ovviamente anche con quello della Slovacchia. Incontrai il premier Robert Fico in una giornata di marzo intensa e piena di contenuti e lo ricordo ora esprimendogli i miei pensieri e le mie preghiere per quanto accaduto ieri. 

I contenuti del Rapporto sono, dunque, il risultato di un prezioso esercizio collettivo che ho poi presentato al Consiglio europeo di aprile, descrivendolo espressamente come una cassetta degli attrezzi, come un insieme di misure possibili da attuare subito. Sullo sfondo una visione del futuro dell’Europa ben delineata. 

Una visione sulla quale ho riscontrato non solo la condivisione, ma anche il sostegno di governi di diversa o diversissima caratterizzazione politica, a partire da quello italiano. Competerà ora alla nuova Europa post voto dare eventualmente attuazione al Rapporto, o a parti di esso, riformando e completando il mercato unico. Per chi crede nell’Europa il compito è invece quello di discuterne, di confrontarsi, di sollecitare un dibattito serio su ciò che manca e su ciò che va attualizzato, esattamente come stiamo facendo su queste colonne.

Enrico Letta, ex presidente del Consiglio