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Green, squadra e idee. Il coraggio che serve alla Confindustria del futuro

Il Consiglio Generale di Confindustria che si riunisce per votare il successore di Carlo Bonomi, ossia Emanuele Orsini, candidato unico. Gli errori che il nuovo presidente non può commettere

L’esito del Consiglio Generale di Confindustria che si riunisce oggi a Roma per votare il successore di Carlo Bonomi sarà un po’ diverso da come i media l’hanno descritto per mesi. La gara tra una molteplicità di contendenti, assunta a conferma della perdita di credibilità e autorevolezza di Confindustria, si è tradotta invece nella scelta ristretta a un solo candidato, Emanuele Orsini. Sarà lui, per quattro anni, il nuovo presidente degli industriali italiani. Ma se Orsini ci è arrivato come candidato unico, rivediamo i mantra che si sono sprecati.

Il primo è stato lo scontro “grandi contro piccoli”. Fino a inizio autunno né Tonino Gozzi né Riccardo Garrone erano sfiorati dall’idea, entrambi così dissero in occasione dell’assemblea degli industriali genovesi. Poi Antonio D’Amato, ferrigno animatore in Europa della battaglia contro le norme Ue sul packaging plastico, ha convinto Gozzi a scendere in campo, perché serviva un presidente dotato di altrettanta durezza contro tutti gli eccessi e i rischi dell’accelerazione degli obiettivi della transizione green, battaglia intrapresa da Gozzi come presidente di Federacciai. Ma, a quel punto, cortocircuito. L’ex presidente Emma Marcegaglia è avversa a Gozzi, e convince in men che non si dica Garrone, con cui ha rapporti di stretta amicizia, a candidarsi anch’egli. A molti, queste dinamiche sono sfuggite. Ma Gozzi, personalità di grande livello e preparazione, ha dovuto fermarsi per non aver raccolto il tetto previsto di deleghe di voto. Mentre Garrone, su cui pure si era allineato gran parte del Nord Ovest a partire da Assolombarda mentre Brescia e Bergamo tifavano per lo più Gozzi, alla fine ha dovuto fare il “beau geste” di rinunciare perché oggi non avrebbe vinto, e allora meglio ripiegare su una nobile lettera in cui si fa appello allo spirito unitario. In realtà la tanto criticata riforma Pesenti di Confindustria di 7 anni fa ha retto alla prova meglio di quanto si sia scritto. Era stata varata per rimodellare Confindustria facendo chiarezza sul peso dei suoi associati di primo e secondo livello, e prevedendo un meccanismo farraginoso ma volto a evitare proprio caminetti dei “grandi” per designare loro i presidenti. Il difetto della Pesenti è di impedire un confronto pubblico tra programmi dei candidati fin dalle prime battute, questo sì. Non quello di seppellire il diritto di successione regale.

Altro tema dominante: “Basta coi poltronisti, professionisti della rappresentanza”. Da disinvolti comunicatori dei “grandi” si è fatto ricorso a lettere anonime e dossier contro il “piccolo” Orsini per la sua presidenza sette anni fa di Federlegno: ma la cosa è naufragata, le risposte erano già state date anni fa. In realtà, per ricevere i consensi da un sistema tanto ampio, le territoriali e le federazioni di settore devono averti visto impegnato negli anni, per decidere se hai qualche numero per gestire la macchina di Confindustria. E questo sembrerebbe aver fatto Orsini negli ultimi anni, con le deleghe che aveva su finanza e fisco, in giro per l’Italia e interloquendo con governo e intermediari finanziari. Orsini ha nel suo programma altrettanta durezza di Gozzi nel giudicare gli errori da correggere sulla transizione green (con l’esplicita scelta del nucleare di nuova generazione), nonché una parte sulla finanza pubblica più impegnativa dei programmi altrui, nel chiedere al governo una revisione e generale della spesa corrente e un modello diverso di welfare pubblico-privato. Ma è stato l’unico a scrivere che il tema grandi-piccoli era un errore, perché nelle filiere d’impresa grandi e piccoli devono marciare insieme ed è anche interesse dei grandi battersi perché i piccoli abbiamo condizioni adeguate di accesso al credito per investire e crescere. Con tutto il rispetto, la Erg di Garrone tutta impegnata sulle rinnovabili esponeva l’eventuale presidente di Confindustria a essere più captive della politica di chiunque altro, visto che sono autorità pubbliche a decidere incentivi alle rinnovabili e remunerazione in bolletta. Ora, certo, Orsini dovrà comporre una squadra ampiamente rappresentativa e lavorare non solo per l’unità, ma soprattutto per superare la malmostosità emerse negli ultimi anni durante la presidenza uscente di Carlo Bonomi. Non ci sarà un grande imprenditore alla guida di Confindustria ma possibilità per una discontinuità anche con il passato esistono. Basta solo vederle e avere un po’ di coraggio.

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