lezione di marketing

Il caso Ferragni, oltre che etico, è stato per Balocco un disastro commerciale. Numeri alla mano

Luciano Capone

Il ricorso mostra il flop dell'operazione. L'azienda si voleva "svecchiare" affidandosi all'influencer, ma alla fine ha perso milioni di euro. Non ha venduto i pandori alle nipoti, ora farà più fatica a venderli anche alle nonne

Prima che etico, è stato un disastro commerciale per Balocco. Il ricorso al Tar, anticipato la scorsa settimana dal Messaggero, di Chiara Ferragni contro la sanzione da quasi 1,1 milioni dell’Antitrust per il “Pandorogate” fa emergere nuovi dettagli sulla partnership con l’azienda dolciaria. Tralasciando gli aspetti morali largamente sviscerati, come la pubblicità ingannevole sulla donazione all’ospedale Regina Margherita di Torino e la giustificazione tragicomica di Ferragni sul fatto che la sua beneficenza non sono stati i soldi (donati solo da Balocco) ma la “visibilità gratuita” che ha regalato all’ospedale, è il lato commerciale che merita maggiore attenzione.

 

Come emerge dal ricorso delle società di Ferragni e dallo stesso provvedimento dell’Antitrust, l’operazione “Pandoro Pink Christmas” nasce come un’operazione di marketing di Balocco per “svecchiare” il marchio e riposizionarlo su un segmento più giovane con un prodotto glamour. L’obiettivo era vendere il pandoro non solo alle nonne, ma anche alle loro nipoti. Con tutta probabilità, vedendo il successo dell’azienda dolciaria Fiasconaro, che ha lanciato una collezione d’alta qualità con Dolce&Gabbana (panettoni siciliani venduti a 60 euro il pezzo), l’azienda piemontese ha pensato rivolgersi all’influencer più conosciuta nel campo della moda. Balocco mette lo zucchero a velo rosa e lo stencil con logo Ferragni al suo classico pandoro, con un prezzo quasi triplo (9,37 euro rispetto a 3,68 euro), e la Ferragni lo vende all’1% dei suoi 30 milioni di follower di Instagram. In aggiunta una donazione a un ospedale che cura i tumori dei bambini, per dare un tocco di impegno sociale. Ritorno d’immagine e guadagni garantiti per tutti. Non è andata così.

 

Per il progetto Balocco versa alle società di Ferragni, per la pubblicità e l’uso del marchio, una somma tra 1 e 1,5 milioni di euro (l’Antitrust indica una forchetta). Ferragni incassa una cifra consistente, completamente slegata dalle vendite, e per giunta, da contratto, ha l’ultima parola sulla comunicazione. Come sono andate le vendite? Molto male. Secondo i dati forniti da Balocco all’Antitrust, su 362 mila pandori “griffati” prodotti, il 20% è rimasto invenduto ed è andato al macero.

  

Nel ricorso di Ferragni al Tar ci sono dettagli ulteriori. Balocco ha realizzato un margine lordo di contribuzione (cioè al netto dei costi variabili, come il cachet di Ferragni) pari a 378 mila euro, da cui vanno detratti 144 mila euro di giacenze di magazzino distrutte, con un risultato economico pari a circa 234 mila euro. Da questo margine – pari a meno di un euro a pandoro venduto (286 mila pezzi in totale) vanno poi sottratti tutti gli altri costi fissi: la perdita è tra 100 e 900 mila euro, riporta l’Antitrust. Un dato impressionante se si considera che per l’Authority il pregiudizio economico subìto dai consumatori – cioè il sovrapprezzo di 5,59 euro del pandoro griffato per circa 290 mila pandori venduti – è stato di circa 1,6 milioni di euro. In sostanza, quasi tutto il surplus è andato alla Ferragni, che ha intascato 1-1,5 milioni (su 1,6 milioni), mentre a Balocco sono rimaste centinaia di migliaia di euro di perdite, oltre ai 50 mila euro già donati all’Ospedale Regina Margherita.

 

Ma il danno economico non si limita a questo. La multa dell’Antitrust – 400 mila euro a Balocco e 1,1 milioni a Ferragni per aver ingannevolmente lasciato intendere ai consumatori che acquistando il pandoro avrebbero contribuito a una donazione (che però era già stata effettuata) – è in larga parte responsabilità di Ferragni. O meglio, del potere sulla comunicazione affidatole da Balocco. Dalla corrispondenza acquisita dall’Antitrust, emerge che era Ferragni a insistere sulla donazione. Nella definizione dei comunicati e dei contenuti social, Balocco evidenziava al team della Ferragni che bisognava evitare di legare le vendite del pandoro alla donazione in quanto “ci espone a pubblicità ingannevole”. Il problema, però, era che da contratto in caso di disaccordo è da “considerarsi come vincolante e prevalente” la decisione della società di Ferragni, che ha calcato la mano facendo prendere anche a Balocco una multa da 400 mila (contro cui l’azienda ha fatto ricorso).

 

Alla perdita commerciale (100-900 mila euro) si aggiungono la sanzione da 400 mila euro e, naturalmente, il danno d’immagine che l’azienda avrà già iniziato a quantificare nelle vendite dello scorso Natale (visto che la sanzione dell’Antitrust è del 15 dicembre 2023). Il danno economico complessivo per Balocco è di qualche milione di euro.

 

L’azienda voleva “svecchiare” il brand e, per farlo, si è affidata a un’influencer, sopravvalutandone sia la capacità di piazzare prodotti alla sua fanbase sia la professionalità nella comunicazione. Balocco non ha venduto i pandori alle nipotine, e dopo l’effetto Ferragni il rischio è che farà anche più fatica a venderli alle nonne, a cui il concetto di beneficenza a un ospedale come “visibilità gratuita” forse non appare molto convincente. Chissà se il Tar sarà più comprensivo.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali