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Lo scaffale di Tria

Oltre gli incentivi. Produttività al centro. In un libro idee per l'economia italiana, e non solo

Giovanni Tria

Non è facile adottare misure efficaci per spingere a investimenti e aumentare la produttività. Una politica fiscale che premia il “successo” è solo una delle soluzioni proposte dall'economista William J. Baumol nel suo volume “Productivity and American Leadership: The Long View”

"Productivity growth is a vital subject that has, unfortunately, fallen into the hands of macroeconomists”. Questo è l’incipit del primo capitolo di “Productivity and American Leadership: The Long View” (1991 MIT Press, Cambridge Massachusetts)  scritto da William J. Baumol, uno dei più importanti economisti americani più volte candidato al Nobel, assieme ad Anne Batey Blackman e Edward N. Wolff. Questa frase mi ha sempre colpito anche perché, forse impropriamente, mi sono sempre considerato un macroeconomista. Ma la frase “incriminata” si riferiva solo al fatto che la macroeconomia keynesiana si era rivolta, almeno in passato, principalmente al breve periodo, mentre la “produttività” è una questione cruciale che riguarda il “lungo periodo”. È nel lungo periodo, infatti, che variazioni anche piccole ma continue della produttività determinano grandi effetti nell’economia di un paese. D’altra parte, fino alla rivoluzione keynesiana, era il lungo periodo che aveva sempre interessato gli economisti accademici.  


Questa citazione di un volume di trent’anni fa, seppur importante, ci è tornata alla mente nel momento in cui di questo, cioè di produttività, si riprende a parlare anche in Europa, tant’è che a Mario Draghi è stato affidato il compito di preparare un report sul tema con riferimento alle prospettive dell’Europa. D’altra parte, il volume di cui stiamo parlando è interessante già per il titolo, che collega la produttività alla leadership americana. In altri termini, l’America temeva negli anni Ottanta di perdere la sua leadership economica a causa del rallentamento della crescita della sua produttività. Il rivale temuto era allora il Giappone. E gli Stati Uniti, già allora, temevano un processo di deindustrializzazione a causa della concorrenza, che anche allora alcuni denunciavano come sleale e frutto di furti tecnologici, proveniente dalla nuova potenza asiatica. Come si vede la storia cambia ma per certi versi si ripete in altre forme. Ora il pericolo viene dalla concorrenza cinese e il Giappone non fa più paura. Dal Made in Japan al Made in China, nonostante oggi le catene produttive globali rendano il concetto di produzione nazionale più sfuggente. 


Ma il tema della produttività rimane centrale, e non per inseguire posizioni di leadership, ma perché dalla crescita della produttività dipende il benessere delle nazioni, il che vuol dire il benessere dei cittadini. Lo sappiamo molto bene in Italia dove il tema salariale che riemerge continuamente non sembra risolvibile se non in termini di crescita della produttività. E la produttività non è una questione di breve periodo, perché se le sue variazioni risentono anche della congiuntura, non sono queste le variazioni che contano. Ciò che conta sono gli investimenti diretti a innovare tecnologie, processi produttivi, prodotti e la capacità imprenditoriale. In un’economia di mercato, tutto ciò dipende, o dovrebbe dipendere, dalla ricerca del profitto e dagli animal spirits che animano questa ricerca. Tuttavia, come sottolineato dagli autori del volume, non è vero che i profitti si possano conseguire solo ricercando un aumento della produttività, cioè con un uso più fruttuoso di lavoro e capitale. 


Ci sono molti metodi alternativi per ottenere un rendimento economico dai capitali, metodi che vengono compresi nella categoria generale del rent seeking, cioè della ricerca di vantaggi anticoncorrenziali, protezioni e sussidi di vario genere. Per questo non è facile adottare politiche efficaci per spingere a investimenti il cui fine sia perseguire aumenti di produttività. Una soluzione proposta dagli autori del volume è quella di utilizzare una politica fiscale che premia il “successo”. Nel caso specifico, Baumol e gli altri proposero di attuare un sistema di sgravi fiscali per le imprese che avessero dimostrato nella media degli ultimi anni di aver aumentato la produttività. Non è il luogo per entrare nelle tecnicalità della proposta per ciò che riguarda il modo più semplice per misurare questo successo (si dimostra che è possibile), ma trovo che l’idea sia rivoluzionaria soprattutto per un paese come l’Italia in cui la passione del sussidio diretto a mantenere in vita imprese non produttive (a volte viene chiamato incentivo) sembra il pane della politica e in cui le aziende più grandi, ma non solo, hanno navigato abbondantemente nel rent seeking. La recente polemica su Fiat-Stellantis insegna. In altri termini, meno tasse, e quindi maggior premio, per chi vince (in termini di produttività) e più tasse sui profitti di chi usa in modo improduttivo risorse, pur ottenendo profitti di breve periodo.  È anche un modo per selezionare nell’attrazione investimenti. 

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