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l'inchiesta

Così il bus tallona i treni: indagine sulla rivoluzione del trasporto su gomma

Fabio Bogo

E’ ecologico, economico, libero da monopoli e integra le ferrovie. Lo scelgono soprattutto i giovani e le donne ma il mercato è in crescita e si muove su una direttrice sempre più intermodale

Il venerdì pomeriggio la stazione degli autobus a media e lunga percorrenza di largo Mazzoni, di fronte alla stazione Tiburtina a Roma, è una babele di lingue e dialetti, un formicaio di valigie normali o di lusso, di trolley, 24ore, zaini o borsoni di plastica che le cinghie elastiche trattengono dalla tracimazione di indumenti e cibo. Non potrebbe essere diversamente, a ognuno il suo bagaglio. Perché a bordo dei bus salgono studenti universitari, che dalla capitale ritornano verso le località di provenienza, spesso paesi in Sicilia, Basilicata o Abruzzo. Ci sono i lavoratori stagionali, molti africani o maghrebini, che si spostano per servire durante il weekend nelle strutture ricettive turistiche. Ci sono i pendolari classici che hanno terminato il 5 giorni di lavoro in città e tornano a casa per il fine settimana. Ci sono i turisti che viaggiano con famiglie numerose e che approfittano di tariffe convenienti o di combinazioni treno/bus. E in fila trovi anche gli stranieri senza fretta disposti ad affrontare lunghe percorrenze notturne pur di fare il viaggio “point to point” ed evitare le burocrazie degli aeroporti. E ancora semplici nomadi viaggiatori attratti da tariffe scontate per località sconosciute, o i ragazzi della generazione Erasmus che vanno a trovare gli amici sparsi nel continente. E  normali viaggiatori o viaggiatrici solitari stufi di passare ore alla guida per appuntamenti periodici fuori città, o infine manager che decidono di usare il tempo di trasferimento per lavorare o leggere. Un concentrato di mondo spalmato su 18 stalli (così si chiamano i mini parcheggi dove stazionano gli autobus), e dove operano una trentina di compagnie, tra italiane e straniere. Che portano vicino, in Umbria e basso Lazio, o lontano (Bologna, Milano, Palermo). O anche lontanissimo, fino a Varsavia o a Lisbona. Vi pare un mercato di nicchia? Non sembra proprio. Nel 2005 dal piccolo largo Mazzoni a Roma (70 dipendenti) partivano 3 milioni di persone, adesso si mettono in moto da lì 8 milioni di passeggeri. E pochi meno se ne muovono da Milano o da altri hub italiani del trasporto su gomma. Per dare un’idea della dimensione rapportata ad altri mezzi di trasporto, nel 2022 il sistema di treni locali Trenord ne ha messi in movimento 151 milioni. Ma gestendo il trasporto su rotaia in tutta la Lombardia e in sette province limitrofe, l’area a più alta densità di popolazione in Europa, fornendo 2200 corse al giorno e collegando 460 stazioni. 

Voglia di viaggiare 

Davide insomma sfida Golia, e i suoi numeri dimostrano che è una battaglia redditizia. C’è spazio per crescere e creare un mercato nuovo. Anche perchè dopo lo stop imposto dal Covid, è tornata  la voglia di muoversi: nel 2019, anno precedente alla pandemia, gli spostamenti giornalieri avevano toccato quota 105 milioni; finita l’emergenza che bloccava il paese nelle mura domestiche (si era scesi a 82 milioni nel 2020) si è ora superata nuovamente quota 100 milioni. Un “rimbalzo poderoso”, lo definisce un rapporto elaborato dall’Isfort, l’Istituto di formazione e ricerca sui trasporti, aiutato in gran parte dalla componente della media e lunga percorrenza. Dove sono sempre di più quelli che scelgono di condividere la gomma. E’ migliorata l’offerta, i prezzi sono accessibili, le destinazioni sono tante. E’ finita l’era delle vecchie, gloriose e anche polverose corriere. Adesso c’è un mercato vero. La concorrenza è severa e la partita comincia ad essere impegnativa. E in campo ci sono i big.

La liberalizzazione e i bus verdi

Tra i primi a scoprire le potenzialità del mercato italiano sono stati i tedeschi di Flixbus. Nata come startup a Monaco di Baviera nel 2011, Flixbus diventa presto leader di mercato in Germania. La sua formula low cost spinge l’espansione al di fuori dal paese a ritmo vertiginoso. Oggi gestisce nel mondo quasi tremila destinazioni in 41 stati. La società si è spinta fino agli Usa, dove ha messo le mani sulla storica Greyhound, ma le piacciono anche i treni (opera in Germania con Flixtrain dal 2018) e le automobili in carpooling (in Francia con Flixcar). Andrea Incondi è il direttore generale per l’Italia di Flixbus e lo sbarco in Italia lo racconta così: “Tutto è nato quando finalmente si è deciso anche qui di liberalizzare il settore, che in Germania era da poco stato scardinato dallo statalismo. Perché qui da noi fino a quel momento, era il 2014, i viaggi in autobus a lunga percorrenza erano soggetti a concessioni che venivano date dalle regioni. Il mercato insomma era congelato, anzi proprio non esisteva”. Si viaggiava in base agli umori e alle convenienze della politica locale, insomma. E si spalancano invece improvvisamente porte prima sconosciute ai viaggiatori, che le lunghe corse in autobus le conoscevano soprattutto guardando scene di film americani, gli autobus blu e bianchi di Greyhound in viaggio coast to coast con l’insegna del levriero, e Dustin Hoffman a bordo sulle note di “Everybody’s Talkin”. Inizia una rivoluzione, che a cascata beneficerà altri operatori e soprattutto gli utenti. Flixbus è entrata in casa nostra “con tre obiettivi: fornire un servizio capillare – dice Incondi – che permetta a chi vuole viaggiare di trovare soluzioni pratiche per raggiungere la sua destinazione in modo quanto più diretto; offrire tariffe a portata di tutte le tasche, senza strappi di spesa anche nei periodi di picco di richiesta; organizzare una rete con alte frequenze costanti, anche di notte, per evitare strozzature”. Il sistema ha funzionato, e gli autobus di colore verde e giallo sono diventati ormai una costante su moltissime strade. “Oggi Flixbus opera corse che collegano 250 città, con 2.000 fermate – dice Incondi – e la società continua a crescere. In Europa nel 2023 stimiamo di raggiungere la quota di 24 milioni di passeggeri, con una crescita del 75 per cento rispetto all’anno precedente. Nel mondo, compresi gli Usa e la Turchia, arriveremo a 36 milioni, con un salto del 53 per cento rispetto al 2022”. 

Chi sale a bordo

Ma chi è che sale a bordo dei bus a lunga percorrenza? Le analisi di marketing raccontano di due canali principali. “Il primo sono i giovani – dice Incondi – che cercano sempre la convenienza e che  sono meno legati degli adulti all’idea del possesso di automobili. Sono studenti fuori sede, o ragazzi che hanno conosciuto i loro coetanei in vacanza o per motivi di studio all’estero e li vanno a trovare approfittando di tariffe alla loro portata. E sono anche attratti dal bus perché lo ritengono giustamente una scelta più sostenibile dal punto di vista ambientale”. Un autobus a piano carico – in effetti – a parità di sistema di trasporto (gomma, e non rotaia) significa mediamente 30 auto in meno in circolazione sulle strade. “Poi – continua Incondi – stiamo registrando il fatto che la maggior parte dei nostri passeggeri sono donne, già il 55 per cento del totale. Lo spieghiamo con il fatto che un autobus è un luogo più sicuro, specialmente per viaggi notturni. C’è un autista collegato con la centrale operativa, ci sono i passeggeri vicini. Non c’è l’isolamento che qualche volta in treno favorisce i malintenzionati”. Ma ci sono anche turisti normali e professionisti. “Siamo partiti con lo spirito della low cost – dice Incondi – ma ora il target è più universale. E con le tariffe che riusciamo ad applicare possiamo dire di aver contribuito alla democratizzazione del viaggio”. 

I conti e i prezzi

Ma quanto costa questo processo di prezzi, così contenuti, alla società? Flixbus italiana non fornisce, per scelta aziendale, dati finanziari nazionali, ma solo numeri di trasporto. La capogruppo tedesca Flix qualcosa dice: nel primo semestre nel suo insieme ha registrato un fatturato di 860 milioni, con un Ebitda, l’indicatore di redditività, di 26 milioni, con un margine del 3 per cento, in una fase in cui è stato forte l’impatto del costo dei carburanti. Nel 2022 il fatturato è stato di 1,5 miliardi di euro, con 60 milioni di passeggeri trasportati. Il sistema cerca un complicato equilibrio operando con un pricing dinamico, lo stesso che applicano in gran parte le compagnie aeree. “Tariffe superconvenienti non per tutti i posti – dice Incondi – ma cerchiamo di favorire chi ha meno disponibilità e chi sceglie di anticipare l’acquisto del suo biglietto. Per fare questo però serve tecnologia”. Già, la tecnologia. Quella che è sempre mancata ai vecchi servizi. Il sistema Flixbus non prevede l’acquisto in massa di bus, ma spesso accordi con le compagnie più piccole già presenti sul mercato. “Loro hanno i mezzi di proprietà con i propri autisti, noi ci occupiamo della programmazione delle rotte, delle fermate, delle prenotazioni tramite app, della pianificazione delle tipologie di prezzi”. Per Incondi è l’unico sistema che consente alle piccole di resistere e anzi crescere, perché “non ce la farebbero da sole: gli investimenti in tecnologia richiedono fondi e competenze digitali”. E’ insomma un matrimonio di convenienza tra tradizione e innovazione, oppure, in senso più pragmatico, un’affiliazione di piccole compagnie, con il verde acido di Flixbus che avvolge altri marchi. C’è un rischio monopolio, visto che i loro mezzi sono quelli che si notano di più sulle strade italiane? La risposta è scontata: “Non c’è monopolio, stanno crescendo tutte le aziende e arrivano nuovi player”.

I big in campo

Uno di questi è Itabus, la società interamente controllata dallo scorso maggio da Italo-Ntv, che l’ha integrata industrialmente con l’obiettivo di creare un servizio reale di mobilità integrata tra rotaia e gomma. Luca Cordero di Montezemolo, vicepresidente non esecutivo, e Francesco Fiore, amministratore delegato, sono da poco nella nuova sede di via Casilina, da dove si domina l’inizio della strada consolare romana e si guardano anche i binari che entrano a Roma Termini. Panorama strategico. Montezemolo non perde tempo nel dire subito che Itabus “è completamente diversa da Flixbus”. Loro vendono a prezzi bassi per limitare la concorrenza, e sono “una sorta di franchising”. La sfida della compagnia con il bus dipinto con lo stesso rosso della carrozze Alsthom di Italo Treno è allora quella della qualità. “Mezzi di proprietà acquistati direttamente da Man, la controllata Volkswagen, che ne effettua la manutenzione e le sostituisce ogni due anni, adeguandoli alle normative sulle emissioni – elenca Montezemolo – formazione continua degli autisti, che sono sempre due a bordo; attenzione maniacale alla pulizia; poltrone comode come quelle del treno; due classi di viaggio, con la top che permette di allungarsi; toilette a bordo e distributore di snack; wifi e streaming per passare il tempo a bordo”. Insomma, è come una carrozza di treno che però va su gomma? “Esatto, perché la nostra strategia è questa. Da un lato spingere sulla sinergia tra treno e bus, per sviluppare l’uso dell’uno e dell’altro: se voglio andare a Siena prendo il treno fino a Firenze dove troverò il bus che completa il mio viaggio. E questo vale per tutti i viaggiatori. Poi il target del turismo: vogliamo che il viaggiatore straniero non si accorga delle differenze, e per questo gli offriamo subito un biglietto unico. Un ventaglio di destinazioni, che da marzo prossimo crescerà ancora”.

Bus, treno e nave

Treno e bus, insomma. Ma adesso anche nave. L’ingresso della compagnia di navigazione Msc in Italo con il 50 per cento, e di conseguenza la sua presenza  anche in Itabus apre nuove opportunità. “Le navi della compagnia di Aponte – spiega Montezemolo – sbarcano decine di migliaia di passeggeri a Venezia, Napoli, Genova, Civitavecchia. Noi li intercettiamo per portarli a Cortina, a Roma, a Pompei, in altre località della Liguria. Diventeremo il primo operatore integrato per treno, bus e crociere, offrendo sempre la comodità del biglietto unico”. Francesco Fiore è convinto che il futuro della mobilità sia l’intermodalità, usare tutti i mezzi in modo coordinato e sinergico. E che usare la spina dorsale della ferrovia sia il modo migliore per ridurre i tempi di viaggio. In termine scientifico i tecnici definiscono la tendenza come adeguamento al concetto di Maas (Mobility as a service), che significa adattare il trasporto al servizio e non al mezzo. Una rivoluzione ideologica, se si pensa che per anni è stata l’auto a dettare le scelte industriali e di trasporto del paese. Ma inevitabile, visto che ai giovani l’auto sembra non piacere come ai propri padri. L’importante è che il passaggio sia anche redditizio per chi ci investe. “Il prossimo anno sarà importante per noi, da marzo avremo un’accelerazione delle iniziative, che ora hanno un’anticipazione con i collegamenti Venezia-Cortina e Torino-Courmayer”, dice Montezemolo , che annuncia comunque “un bilancio 2023 in pareggio”. Bene dunque, ma c’è ancora strada da fare per superare i 300 punti attualmente toccati dalla rete Itabus.

Il ruolo delle stazioni

Perché ci sia un ulteriore e ordinato salto di qualità c’è però bisogno di infrastrutture. Devono migliorare gli hub dei bus, che in qualche città non esistono proprio, perchè le amministrazioni locali non provvedono (“Sulla rete raccogliamo passeggeri lungo la strada, dove non c’è a volte nemmeno una pensilina” si lamentano da Flixbus e da Itabus) e devono essere sfruttate di più le stazioni  ferroviarie esistenti, spesso dotate di parcheggi. “Col bus ne guadagna il territorio – dice Montezemolo – pensi alla stazione di Reggio Emilia Mediopadana. La costruisce Calatrava ed è per anni una landa in mezzo ai campi di erba medica. Poi arrivano i bus e diventa il collegamento con tutta la Food Valley”. C’è consapevolezza di questo? “Non mi sembra ancora, stiamo chiedendo al governo di investire e ai sindaci di aiutarci. Inutile parlare di rilancio dei borghi, se poi non si crea una rete che consenta di arrivarci con il trasporto condiviso”, dice Fiore. E Montezemolo incalza: “il successo dell’Alta velocità non è stato prodotto solo con i treni, ma anche con belle stazioni. E la rete dei bus a lunga percorrenza ha diritto a strutture adeguate, perché non è più un trasporto di serie B come è stato per anni”.

E Trenitalia scalda i muscoli

Nella battaglia per la gomma cosa fa Trenitalia, che dispone della rete ad alta velocità e quella ordinaria? Intanto rilancia la rotaia, reintroducendo tratte notturne per le località invernali. Poi si muove con decisione sul fronte turismo/gomma. Firenze e Salerno sono le basi dell’alta velocità per andare in bus ad Assisi o a Matera e Potenza. E per gli sciatori Venezia/Mestre, Bolzano, Ora (Bz), Trento e Torino portano in quota verso il Cadore, la Val di Fassa, la Val di Fiemme, la Val Gardena e Courmayeur. Da Piazzale della Croce Rossa, insomma, si scaldano i muscoli. Perché l’impressione è che il vecchio mantra “il futuro è sulla rotaia” non sia più tanto valido. Per farla andare bene, la rotaia, ci vuole anche l’ex nemica gomma. Che promette di portare passeggeri e parecchi soldi.

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