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Il debito, prima agli italiani!

Perché la strategia sovranista sui Btp è segno di fragilità

Mariarosaria Marchesano

La proposta di escludere l'acquisto di titoli di stato dal calcolo dell'Isee rivela che il governo vuole fare di tutto per favorirne gli acquisti: l'obiettivo è contenere le oscillazioni dello spread

Mettere il debito pubblico nelle mani degli italiani è la ricetta del governo Meloni per compensare i mancati acquisti di titoli di stato da parte della Bce, riducendo il più possibile il ricorso agli investitori di mercato. E poco importa se questo implica gravi distorsioni come l’accesso al welfare iniquo da parte dei cittadini che sarebbe determinato dall’esclusione dei Btp dal calcolo dell’Isee. La strategia del Mef è fare di tutto per favorire gli acquisti di titoli di stato da parte delle famiglie in modo da contenere le oscillazioni dello spread, che è il termometro della fiducia degli investitori finanziari. Non è una novità per quest’esecutivo, ma la proposta di escludere i Btp dall’Isee rivela che è in corso un’accelerazione in questa direzione e a spiegarne il motivo potrebbero essere alcuni numeri snocciolati dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) nell’audizione del 10 ottobre sulla Nadef. La stima delle emissioni di titoli di stato al netto degli acquisti dell’Eurosistema (che ormai non sono più diretti ma avvengono sul mercato secondario sotto forma di reinvestimento dei titoli in scadenza) sarebbe di circa 145 miliardi nel 2024 contro 118 miliardi del 2023 (anche questa è una stima), che pure è in forte aumento rispetto al 2022 quando era ancora in corso il piano di acquisti pandemico della Bce.

Insomma, il prossimo anno bisognerà trovare 27 miliardi in più per far fronte al fabbisogno dello stato e non si potrà più contare sul paracadute europeo. Rivolgersi agli investitori istituzionali, esteri ma anche nazionali, nel momento in cui l’allentamento della politica fiscale del governo sta facendo vacillare la fiducia dei mercati e aumentare i rendimenti (ieri quello dei Btp decennale ha superato il 5 per cento con lo spread vicino a 207 punti base) è la soluzione meno preferibile, secondo il Mef di Giancarlo Giorgetti. 

La strategia del “risparmio sovranista” è stata impostata agli albori del governo Meloni, come dimostrano le numerose emissioni di Btp a condizioni agevolate per il retail da un anno a questa parte. Solo che ha funzionato fino a un certo punto, come evidenziano alcuni analisti. Marco Giordano, direttore degli investimenti di Wellington management,  premette: “All’inizio dell’anno abbiamo osservato con una certa sorpresa la stabilità dello spread tra i titoli di stato italiani e tedeschi, nonostante la spirale del deficit e il deterioramento delle finanze pubbliche. Per un lungo periodo, i flussi retail hanno limitato l’aumento dello spread, poiché le famiglie italiane hanno finanziato le nuove emissioni, attratte dai rendimenti più elevati”. Ma poi continua: “Con il rallentamento della crescita e l’aumento del premio a termine, il deficit e l’elevato debito pubblico dell’Italia sono di nuovo sotto i riflettori. L’ultima revisione effettuata dal governo fissa il deficit per il 2023 al 5,3 per cento del pil invece del precedente 4,5 per cento. Questo dato diventa significativo in un contesto in cui la Bce non è più l’acquirente di ultima istanza, come lo è stata per molti anni, in particolare per i paesi periferici. Pur essendo lontano dai massimi registrati nell’ultimo decennio, l’aumento dello spread tra Italia e Germania è notevole e richiede di essere monitorato”.

Insomma, l’allocazione del debito pubblico di un paese non può essere disgiunta dalla credibilità della sua politica fiscale perché questa è l’unica in grado di garantire la sostenibilità del debito stesso. Incentivare a tutti i costi l’acquisto di Btp da parte dei risparmiatori può apparire anche  un segnale di debolezza da parte del governo. Tra l’altro, ai cittadini andrebbe spiegato anche quanto si rischia con l’Italia in portafoglio. Vero è che il pericolo di una bancarotta del paese è minimo, ma la concentrazione dei risparmi in un’unica tipologia di investimento è sicuramente da evitare per le famiglie, come insegnano i principi base della sesta campagna dell’educazione finanziaria promossa dallo stesso governo nel mese di ottobre. Senza contare che il bonus fiscale nell’Isee mette altre emissioni obbligazionarie di gruppi partecipati dallo stato (per esempio, di Poste italiane, di grandi gruppi come Enel ed Eni) su un piano di svantaggio rispetto ai Btp. E così pure la restante parte di prodotti di risparmio, polizze e fondi d’investimento compresi. Una disparità che rischia di suscitare non pochi malumori anche tra banche e assicurazioni.

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