verso la legge di bilancio

Perché Meloni non punta sulla riforma per gli anziani non autosufficienti?

Luciano Capone

Alla manovra mancano risorse, ma soprattutto un'idea nuova. Eppure ce n'è una largamente condivisa, che coinvolge 10 milioni di persone, che fa parte del Pnrr e che non ha neppure un costo elevato (1,3 miliardi per il 2024). Se non ora quando?

Nella legge di Bilancio ci sarà necessariamente tanta “prudenza”, dato che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ripete che  la situazione finanziaria è complicata. E ci sarà soprattutto qualcosa di già visto, dato che la proroga della decontribuzione per i lavoratori sotto i 35 mila euro annui costerà circa 10 miliardi sui 25-30 miliardi complessivi della manovra. Ma ciò che manca nella prima vera legge di Bilancio di Giorgia Meloni è un’idea nuova. 

 

Eppure c’è una riforma che è largamente condivisa; coinvolge circa 10 milioni di cittadini; fa parte del Pnrr e non ha neppure un costo elevato: è la riforma per gli anziani non autosufficienti. Ciò che manca è principalmente la volontà politica, ovvero un governo che si intesti la riforma e la porti a termine. Quando si parla di assistenza agli anziani non autosufficienti, per inquadrare la dimensione e la rilevanza sociale del problema, è interessante partire dai numeri. In Italia ci sono, secondo l’Istat, circa 3,8 milioni di anziani con grave riduzione dell’autonomia nelle attività quotidiane, di cui 1 milione con bisogno di assistenza o ausili perché non autonomi. Se si considerano le famiglie coinvolte su cui ricadono i carichi di cura (i caregiver) e le persone che assistono professionalmente i nostri anziani, si arriva a un totale di 10 milioni di persone coinvolte dalla riforma. Ed è un bacino destinato inevitabilmente ad aumentare per questioni demografiche. Oggi la popolazione con più di 65 anni è pari al 23,5% del totale, nel 2050 dovrebbe arrivare al 35%. Oggi la quota di persone sole over 65 rappresenta il 50% di chi vive da solo, nel 2041 diventerà il 60%.

 

Si tratta, quindi, di un fenomeno di massa che coinvolge ora o in futuro tutte le famiglie. Eppure si tratta di una questione a lungo sottovalutata, dato che l’Italia ha almeno una ventina di anni di ritardo rispetto ad altri paesi come Germania, Francia o Spagna che a partire dal 1995 hanno riformato il settore. È difficile trovare altre questioni in cui si registri una così ampia distanza tra il contesto sociale e l’attenzione della politica. La cosa positiva, però, è che ci sono le condizioni per arrivare a una svolta per fornire risposte migliori e più adeguate alle famiglie e agli anziani.

 

Il merito è, in buona parte, del “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza”, un network che riunisce la gran parte delle organizzazioni coinvolte nell’assistenza agli anziani. Una realtà capace di unire elaborazione delle politiche (think tank), interlocuzione con le istituzioni (lobbying) e promozione nel dibattito pubblico (advocacy) che ha già ottenuto un importante risultato: approfittando della caduta del governo Conte II che non aveva previsto la riforma nella sua versione del Pnrr, ha elaborato una proposta dettagliata sull’argomento riuscendo a farla inserire tra le riforme settoriali del Pnrr del governo Draghi. A marzo 2023, è stata approvata la legge delega per la non autosufficienza, che però necessita di una serie di decreti legislativi per attuare le varie misure entro l’inizio del 2024. L’obiettivo è quello di ridisegnare un quadro nazionale, coordinando il lavoro di Asl e comuni, per costruire un’assistenza domiciliare più adeguata ai bisogni degli anziani; un miglioramento della qualità delle strutture residenziali e un maggiore sostegno per l’assistenza professionale e di qualità.

 

Per fare le cose per bene, però, servono delle risorse. La cosa positiva è che non ne servono molte: secondo le stime del Patto bastano 5-7 miliardi nell’arco della legislatura. Che vuol dire partire nel 2024 con 1,3 miliardi, una cifra pari al 4-5% della prossima legge di Bilancio, per  arrivare progressivamente a 3,3 miliardi aggiuntivi nel 2026. A occuparsi del tema è il viceministro del Lavoro Maria Teresa Bellucci, che è la responsabile istituzionale della riforma. Ma è evidente che su una questione del genere, al di là dell’impegno tecnico a realizzare la lista delle cose da fare previste dal Pnrr, servirebbe un investimento politico maggiore da parte del governo.

 

Il messaggio, tra l’altro, sarebbe anche coerente con l’enfasi che Giorgia Meloni e il suo governo pongono sul sostegno alla famiglia e complementare rispetto alle misure a favore della natalità, tenendo insieme nonni e nipoti. La riforma sulla non autosufficienza sarebbe anche un modo per occuparsi degli anziani, in un paese in crisi demografica, diverso dai prepensionamenti: lo stato investe risorse per garantire una vecchiaia dignitosa a tutti, non per mandare prima in pensione qualcuno. Una riforma, appunto, invece di un bonus. Sarebbe inoltre, da parte del governo, una risposta concreta alla campagna delle opposizioni contro i  “tagli alla sanità”. Si tratta  di un piccolo investimento politico (1,3 miliardi  per il 2024) con un elevato ritorno. Soprattutto per i 3,8 milioni di anziani non autosufficienti e per le loro famiglie.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali