un candidato, un'idea

La ricerca del successore di Bonomi impone una domanda: come riformare Confindustria?

Dario Di Vico

Tanti nomi per il futuro di Via dell’Astronomia. Chiunque ha diritto a coltivare le proprie ambizioni e a presentarsi ai nastri di partenza ma deve avere un’idea. Anche solo una, ma che sia “centrale” e all’altezza dei tempi. I temi su cui misurarsi non mancano

Spoilero subito dove voglio andare a parare: un candidato, un’idea. I giornali si sono sbizzarriti nei giorni scorsi, a ridosso dell’assemblea annuale di Confindustria e dell’ultimo discorso da presidente di Carlo Bonomi, a elencare i pretendenti al trono. Ovvero gli industriali che potrebbero o solo vorrebbero scalare Via dell’Astronomia e sedersi sulla poltrona più alta. Ne è venuto fuori un elenco degno dei vecchi libroni della Sip, zeppo di nomi.

   
Il mantovano Alberto Marenghi, l’emiliano Emanuele Orsini, il ligure Antonio Gozzi, il frusinate Maurizio Stirpe, l’altro emiliano Maurizio Marchesini, il veneto Enrico Carraro e almeno due-tre past president della Confindustria come Antonio D’Amato ed Emma Marcegaglia. Alla successiva assemblea della Federmeccanica tenutasi lo scorso fine settimana nel Trevigiano più di qualcuno degli indiziati ha pensato bene di muoversi e presenziare ai lavori. Della serie: mi si vede di più se ci sono e comunque male non fa.

 
Al di là della quantità dei candidabili siamo comunque pienamente dentro la fisiologia confindustriale. All’interno le chiamano pomposamente “grandi manovre”, purtroppo per loro in quest’epoca di declino della rappresentanza sociale in realtà sono solo piccole manovre ma è giusto così. L’importante sta nella regola che prevede un avvicendamento al vertice degli industriali italiani ogni quattro anni: la mobilità nelle posizioni apicali delle associazioni è garanzia minima di una maggiore democrazia e di una più ampia trasparenza e, se anche fosse, un po’ di folklore non guasta. Del resto basta vedere cosa succede invece in Confcommercio con una leadership inamovibile per apprezzare anche gli elenchi tipo Sip degli aquilotti, come vengono chiamati i confindustriali.

   
Ma detto del metodo sarà giusto parlare anche del merito. Chiunque ha diritto a coltivare le proprie ambizioni e a presentarsi ai nastri di partenza ma deve avere un’idea. Anche solo una, ma che sia “centrale” e all’altezza dei tempi e, soprattutto, che non abbia la forma di un programma di cento noiose pagine appaltato a qualche economista amico. Senza questa necessaria discontinuità si finirà per discutere, come finora è capitato negli articoli usciti sulla stampa, dello stato di famiglia dei candidati (hanno un coniuge che fa politica?), del curriculum di studi (hanno la laurea?) o dei fatturati più o meno aggregati delle loro aziende. Ad esempio Maurizio Sacconi, auspicando maliziosamente che “industriali e confindustriali si ricongiungano in un forte sindacato d’impresa”, ha sostenuto che per attrarre “i migliori” bisogna riprodurre “la sana separazione tra indirizzo politico e gestione così da rendere conciliabili la cura dell’impresa e la funzione di presidente”.

  
E’ solo un’idea, per carità, ma va nella direzione di dare sostanza a un dibattito che altrimenti sarebbe destinato a sbiadire nelle piccole polemiche e negli schieramenti di corto respiro. I temi su cui misurarsi non mancano: è forse arrivato il momento di operare un bilancio della riforma Pesenti che ha ridisegnato la geografia associativa e forse c’è da ragionare su come si sovrappongono le competenze del quartier generale romano con le territoriali e le associazioni di categorie.

 

Guardando all’esterno, poi, incombe un annus horribilis del sistema manifatturiero dovuto al combinato disposto tra rallentamento dei commerci internazionali, stagnazione della domanda interna e aumento del costo del denaro. Una stagione nella quale il sistema delle imprese è entrato già polarizzato se è vero che nel 2022 – ultimi dati di bilancio disponibili – un’impresa su due aveva aumentato i profitti, come ha avuto modo di sottolineare il chief economist di Intesa Sanpaolo, Gregorio De Felice, in un recente dibattito su “War Room”. C’è ampia materia, dunque, perché la ricerca del successore di Bonomi sia all’insegna della competizione associativa e intellettuale. Un candidato, un’idea. Per l’appunto. 

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