la versione di tridico

Tridico il fantasioso, presenta il salario minimo a modo suo

Luciano Capone

L'economista vicino a Giuseppe Conte, nuovo punto di riferimento delle forze progressiste, difende la proposta a 9 euro delle opposizioni con formule surreali e ricostruzioni opposte alla realtà, come nel caso della Germania

È Pasquale Tridico il nuovo fortissimo punto di riferimento delle forze progressiste sui temi del lavoro. È l’ex presidente dell’Inps e fantaministro del M5s l’ispiratore della legge sul salario minimo che ha unito le opposizioni (eccetto Matteo Renzi) ed è il suo principale sostenitore sui giornali vicini al “campo largo”. Anche se con argomenti creativi e ricostruzioni surreali.

 

Nei giorni scorsi, su Repubblica aveva giustificato l’adeguatezza della soglia a 9 euro l’ora – indicata dal M5s – in quanto risultato della “media fra il 50 per cento del salario medio e il 60 per cento del salario mediano”. Sempre su Repubblica gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti, senza citarlo, hanno definito quelli di Tridico “numeri fantasiosi e giustificazioni di questi numeri ancora più fantasiose”, dato che “non c’è nessuna ragione per cui il salario minimo debba ricadere a metà di questo intervallo” e per giunta “i numeri alla base di questo calcolo sono sbagliati”. Solo da questo mix di fantasia ed errore – che avevamo già evidenziato oltre un anno fa – è possibile tirare fuori dal cilindro una soglia pari al 75 per cento del salario mediano, che non ha eguali in Europa.

 

Ma proprio mentre gli veniva contestata la fantasiosa formula presentata su Repubblica, in contemporanea, Tridico ha aperto un altro fronte sul Fatto quotidiano. In un commento sull’altro giornale di cui è editorialista, l’economista vicino a Giuseppe Conte ha fornito altre argomentazioni a supporto della sua proposta. Dice Tridico che in Italia i salari sono bassi perché sono calati mentre la produttività aumentava: “Il modello di contrattazione sindacale non è riuscito a distribuire efficacemente i pochi guadagni di produttività avuti”. Di contro, il modello da seguire è quello tedesco, che avrebbe funzionato all’opposto: “In Germania – scrive – il salario viene spesso tenuto a un livello più alto della produttività per favorire continuamente investimenti tecnologici e permettere una rincorsa virtuosa della produttività per agganciarsi alla crescita del salari. Non è un caso che il salario minimo, introdotto in quel paese nel 2015 poco sotto i 9 euro, viene velocemente portato nel 2022 a 12 euro”.

 

La ricostruzione è surreale, perché descrive un quadro che è opposto alla realtà. Negli ultimi decenni l’Italia ha avuto una dinamica della produttività stagnante e i salari hanno seguito un andamento analogo. Non c’è stata alcuna divergenza: i salari non sono saliti semplicemente perché non è salita la produttività, che è il fattore principale per la crescita nel lungo periodo. Quanto alla Germania, e questo è davvero paradossale, è accaduto esattamente il contrario di quanto affermato da Tridico. Dai primi anni Duemila in poi, la Germania è stato uno dei più importanti esempi mondiali di disaccoppiamento tra salari e produttività, ma nel senso inverso: le paghe sono salite poco rispetto ai notevoli incrementi di produttività. D’altronde la moderazione salariale è stata uno dei fattori principali della trasformazione dell’economia tedesca, passata da “malato d’Europa” a modello di successo basato sull’export (uno studio su tutti lo spiega bene: “From sick man of Europe to economic superstar: Germany’s resurgent economy”, di Christian Dustmann e altri).

 

Grazie al decentramento della contrattazione a livello territoriale e aziendale, il sistema produttivo tedesco si è riformato in una fase critica e ha guadagnato competitività rispetto agli altri paesi facendo crescere i salari molto più lentamente dell’aumento della produttività. Dal 1995 al 2015, in Germania la produttività del lavoro è aumentata del 30 per cento mentre i salari solo del 18 per cento. Lo scambio alla base del patto tra sindacati e datori di lavoro a inizio Duemila è stato che gli aumenti di produttività non sarebbero stati usati per aumenti dei salari reali ma per accordi che aumentassero l’occupazione. Anche il salario minimo, fissato a 8,5 euro nel 2015, segue la stessa logica. All’epoca non era affatto un livello elevato, ma il contrario: era pari al 48 per cento del salario mediano tedesco (i 9 euro di Tridico sono il 75 per cento del salario medio italiano). E non è stato affatto portato “velocemente” a 12 euro, perché a quel livello ci si è arrivati nel 2022. Dopo sette anni. Ed è comunque attorno al 50 per cento del salario mediano, 20 punti meno della soglia indicata da Tridico.

 

Nella lotta politica e in vista della campagna elettorale per le europee è fisiologico un pizzico di propaganda, ma ribaltare completamente i numeri e la realtà è troppo. Soprattutto per un economista e soprattutto se si ritiene il salario minimo una questione seria per il paese.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali