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il libro

Riformare l'Ue e superare “l'ora più buia”. Un manuale

Stefano Cingolani

Crisi economica, pandemia, guerra. L’Europa forgiata dalle crisi in cerca di più unità. L'ultimo volume di Marco Buti

Il rimbalzo dell’inflazione spunta le ali alle colombe e oggi ci si aspetta che la Bce aumenti ancora i tassi d’interesse. Ma è ormai diffusa la consapevolezza che la stretta non può andare troppo in là e si è fatta strada la convinzione che la politica monetaria debba andare a braccetto con la politica di bilancio. Anche per questo la diatriba sul nuovo Patto di stabilità non ha niente a che vedere con la famosa querelle settecentesca sulla musica italiana. La riforma del pilastro sul quale si reggono la moneta unica e l’economia europea determina il futuro dell’intera Ue. Ci sono stati i pionieri, gli architetti e i costruttori, adesso è il tempo dei riformatori. Adesso è il momento dei riformatori.

I primi tre protagonisti hanno segnato l’Unione europea dalla sua nascita fino alle due grandi crisi che l’hanno sconvolta, ma non travolta: il crac finanziario del 2008-2010 e la pandemia. Gli altri sono quelli che si rimboccano le maniche per affrontare una crisi persino più grave: la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, un conflitto che diventa esistenziale perché rimette in discussione i pilastri stessi dello stare insieme in una Unione che da economica diventa istituzionale, politica, militare, ideale. Tra i riformatori va senza dubbio collocato Marco Buti, il quale ha conosciuto gli architetti e ha lavorato con i costruttori come alto funzionario a Bruxelles, direttore generale per gli Affari economici e ora braccio destro del commissario all’economia, Paolo Gentiloni. Il suo libro esce ora in italiano per i tipi della Bocconi con il titolo “Jean Monnet aveva ragione? Costruire l’Europa in tempi di crisi”.

Perfetta scelta di tempo, visto che una riforma importante è stata annunciata proprio pochi giorni fa ed è già diventata terreno non solo di dibattito teorico, ma di confronto politico tra i paesi, tra i partiti, persino al loro interno. L’Italia lo dimostra, ma non fa eccezione. Parliamo del nuovo Patto di stabilità e crescita, dei pilastri di Maastricht che hanno preparato e accompagnato l’introduzione dell’euro, il più importante passo compiuto per sigillare con una sola moneta e una banca centrale quella che dovrebbe diventare una unione a tutto campo. Quelle regole, scrive nell’introduzione Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, “si sono dimostrate ampiamente insufficienti. Da un lato non sono state capaci di impedire l’insorgere di situazioni di squilibrio, effettive e percepite, nei conti pubblici, con rischi, anche gravi, per la stabilità finanziaria. Dall’altro, non hanno fornito adeguati margini di manovra affinché la politica di bilancio potesse accompagnare la politica monetaria in chiave anti ciclica, nonché assicurare il livello di infrastrutture (‘beni pubblici’) necessario per una crescita equilibrata e sostenibile, non compromessa da tensioni sociali e mancanza di consenso politico”. Vedremo se le nuove norme sapranno correggere questi difetti, ma è importante che i riformatori siano al lavoro. E’ questo l’anello di congiunzione tra l’attualità politica e il racconto di come siamo arrivati a questo punto, come fa Buti mescolando vicende e riflessioni personali con le tappe del cammino unitario. L’ispirazione di fondo ci pare quella di preparare una ripartenza dopo le crisi economiche, in modo da essere pronti a superare anche “l’ora più buia”, quella scoccata il 24 febbraio 2022.

Se l’Europa sarà ancora una volta “forgiata nelle crisi”, come sosteneva Jean Monnet, l’odierno “test di compatibilità” non dovrebbe rovesciare la sequenza tradizionale e completarla? Scrive Buti: “L’Ue non ha soddisfatto pienamente questo test quando ha gestito la crisi finanziaria del 2008, mentre ha avuto successo quando ha dovuto affrontare la pandemia. Un nuovo test ha avuto inizio con lo scoppio della guerra e la conseguente crisi energetica”. L’Ue si trova ad affrontare tre dilemmi. Il primo riguarda gli equilibri macroeconomici, il secondo la sostenibilità nei suoi tre aspetti: fiscale, ambientale, sociale. Il terzo è il trade off tra efficienza e autonomia, quello più preoccupante: catene del valore internazionali “lunghe” conducono a guadagni di efficienza, permettendo di allocare i fattori di produzione rispettando i vantaggi comparati; tuttavia, come già l’esperienza della produzione di vaccini durante la pandemia ha mostrato, tali catene sono soggette a vulnerabilità tecniche e strategiche. Catene del valore più “corte” potrebbero assicurare maggiore sicurezza, ma al prezzo di perdite di efficienza, con un impatto negativo anche sulla transizione verde, vista la dipendenza dai materiali non disponibili in Europa o nei paesi amici.  “Le risposte devono soddisfare il Test di compatibilità di Monnet che abbraccia coerenza economica, coerenza istituzionale e coerenza politica. La prima passa per politiche fiscali prudenti nel breve termine, associate a una riforma delle regole fiscali europee che permettano di collocare gli alti debiti pubblici su una traiettoria discendente graduale, ma credibile e di migliorare la qualità della finanza pubblica. La coerenza istituzionale richiede che siano sfruttate al meglio le opportunità di Next Generation Eu e REPowerEu, anche per aprire la via a un dibattito sull’offerta centralizzata di Beni pubblici europei nel campo dell’energia e della difesa. Infine, la coerenza politica impone di vagliare l’agenda domestica europea e nazionale alla luce delle priorità geopolitiche”.

Nella postfazione Mario Monti si sofferma su un’altra prova importante: “La strategia europea per la competitività”, quella che alcuni definiscono la risposta al “protezionismo a stelle e strisce” o meglio alla nuova sfida americana. Il rischio è che prevalga “l’ognun per sé”, ma allora non ci sarà un “dio per tutti”. E tuttavia non è più l’economia il punto di partenza, bensì “le priorità geopolitiche” o meglio i valori che ci tengono insieme dal Dnipro all’Atlantico, quelli che Putin calpesta, gli stessi che per una sorta di prudenza oggi poco fondata sono stati messi in frigorifero. Ricordate il dibattito sulla Costituzione europea? La stessa divisione tra federazione e confederazione è obsoleta: si può accettare la teoria pluralista secondo la quale il Vecchio continente è e resterà un arcipelago di paesi e culture e sostenere gli Stati Uniti d’Europa. Proprio gli Usa hanno aperto la strada e non si dica che là esiste una omogeneità etnica, linguistica, religiosa; se era vero solo in parte per i padri pellegrini, non è più così dal 1865 con la fine della guerra civile e l’emancipazione degli schiavi e le grandi migrazioni. Per questo c’è bisogno di pensare in grande e senza paraocchi. 

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