Un presidio degli studenti contro il caro affitti a Milano (Lapresse)

L'analisi

Le rendite da affitto aumentano più dei redditi da lavoro. Come uscirne

Marco Leonardi e Leonzio Rizzo

Più che sul salario, le diseguaglianze si stanno aprendo tra chi possiede una casa e chi no, con i valori immobiliari che variano molto di città in città. Un problema dimenticato nel dibattito sulla prossima delega fiscale

L’aumento degli affitti nelle città (specialmente Milano ma non solo) offre un’occasione per parlare di diseguaglianze e di delega fiscale. L’Italia ha a lungo favorito la tassazione del risparmio e della casa a discapito del lavoro. Mentre spesso ci si concentra sulle diseguaglianze dei redditi da lavoro, si dimentica che le diseguaglianze individuali e soprattutto territoriali si accumulano altrove. Per i lavoratori a tempo pieno (che sono la maggioranza) non aumenta la diseguaglianza di reddito da lavoro quanto piuttosto il peso dei redditi da affitto imputati (per chi la casa la possiede) e il peso dei redditi da affitti per chi ha case da affittare. Le diseguaglianze si stanno aprendo tra chi possiede una casa e chi no e tra chi la possiede in città in cui i valori immobiliari sono alti e chi no. Se due famiglie guadagnano la stessa cifra ma una ha una casa di proprietà e quindi non deve pagare l’affitto, allora quella famiglia può dedicare al consumo una parte molto maggiore del suo reddito. La casa di proprietà consente di fatto di disporre di un reddito molto maggiore a chi deve pagare l’affitto. Ovviamente ancora più evidente sarebbe l’incremento del reddito disponibile nel caso in cui si possieda una seconda casa affittata rispetto a chi invece non la possiede.

 

Tutto il dibattito sulla delega fiscale e sulla flat tax si concentra invece sul reddito da lavoro. La destra è contro la tassazione della casa, si veda la vicenda del catasto sotto il governo Draghi ma la cosa può divenire insostenibile per due ordini di ragioni. Se si guarda a più di 30 anni di evoluzione del reddito da fabbricati, in cui si imputa il valore di mercato ai possessori di casa, si vede che la quota del valore aggiunto sale dal 5 al 13 per cento a discapito sia della quota dei profitti, che del reddito da lavoro. Se si guarda al reddito imponibile da affitti (irpef e cedolare secca) l’aumento dal 2008 al 2019 è del 26 per cento contro il 14 del reddito da lavoro dipendente. È naturale che il reddito da affitto sia più concentrato nelle mani di pochi rispetto al reddito da lavoro e che il reddito da affitto sia concentrato nelle città più attrattive rispetto ad altre. Ma questo favore per il reddito immobiliare non potrà che portare sempre più concentrazione della ricchezza non solo individuale ma anche territoriale. Dal 2008 al 2019 il reddito da affitti in Lombardia è cresciuto del 28 per cento e in Calabria dell’8 in termini nominali. Dal 2015 ad oggi l’affitto medio a Milano è cresciuto del 43 per cento attestandosi a quasi 22€/mq nel marzo 2023 mentre è cresciuto del 16 per cento a Reggio Calabria con un affitto medio nel marzo 2023 pari a 5€/mq. La concentrazione territoriale dei redditi da affitto è l’altro lato della medaglia dei problemi delle città dove gli affitti diventano troppo cari ed espellono la classe media dai centri storici.

 

L’attuale tassazione locale prevede l’Imu sulle seconde case che però non riflette il costo degli affitti, così come non lo riflettono le addizionali comunali all’Irpef nella misura in cui i contribuenti utilizzano la cedolare secca. La base imponibile del reddito da lavoro dipendente cresce meno della base imponibile da cedolare secca e la disuguaglianza causata dal continuo incremento delle rendite da immobili non è affrontata dalla tassazione locale. Per affrontare il problema si potrebbe modificare il calcolo della base imponibile Imu. Attualmente la base imponibile Imu si calcola rivalutando la rendita catastale al 5 per cento e poi moltiplicandola per dei coefficienti specifici per i vari tipi di edifici. Non ha senso una rivalutazione identica sull’intero territorio nazionale dove i prezzi degli immobili presentano elevata variabilità: dovrebbe invece essere parametrata ai prezzi di mercato (che sono diversi anche all’interno della stessa città). In tal modo si riuscirebbe a legare l’Imu all’incremento del rendimento degli immobili e quindi all’effettiva capacità contributiva del contribuente. L’alternativa potrebbe essere una addizionale comunale sulla cedolare secca sugli affitti. L’adozione di una o entrambe le misure dovrebbe essere accoppiata ad una riduzione dell’addizionale comunale Irpef in modo da lasciare il gettito per i comuni invariato. Così si avrebbe uno spostamento del prelievo dal lavoro agli immobili senza variare la pressione fiscale locale aggregata. Nel caso invece in cui si riuscisse ad incrementare il gettito i comuni potrebbero prevedere eventualmente sussidi per coloro i quali non riescono a pagare gli elevati affitti.

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