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L'Ue riforma mercato delle emissioni e dazio sul carbonio. Nuovi pesi per i più deboli

Chicco Testa

Mentre la tassazione dei redditi risponde al principio di progressività, le tasse ambientali si configurano come imposte indirette e quindi con effetti fiscali regressivi

La teoria dell’utilizzo delle tasse ambientali per combattere fenomeni di degrado si è affacciata nel dibattito pubblico a partire dagli anni 80. Con un caveat. La progressiva introduzione di disincentivi fiscali su una risorsa scarsa come l’ambiente avrebbe dovuto accompagnarsi a uno spostamento della pressione fiscale, alleggerendo in maniera compensativa quella sul lavoro e sui redditi. Già allora c’era chi vedeva in questa teoria un baco. Mentre la tassazione dei redditi risponde al principio di progressività, le tasse ambientali si configurano come imposte indirette e quindi con effetti fiscali regressivi. I redditi più bassi avrebbero pagato in proporzione di più. Previsione che si è pienamente realizzata e che si rafforzerà ancor di più nell’ambito delle misure prese dall’Unione europea per la transizione verde.

Val la pena di ricordare che uno degli obiettivi della transizione è la sua sostenibilità sociale. Deve essere giusta, si dice. Sempre proclamato, ma poco rispettato. Se si guarda in Italia alle misure del passato, per esempio la scelta di caricare sulle bollette elettriche la spesa per gli incentivi alle rinnovabili o quelle per la dismissione del nucleare, si sono tradotte di fatto in una tassa occulta sulle famiglie che peserà a fine corsa per centinaia di miliardi. E la stessa errata impostazione dei vari bonus, a cominciare dal 110 per cento, ha finito per favorire la parte più benestante delle famiglie italiane. Ma questo è ancora poco a fronte delle misure che stanno arrivando. La decisione di imporre un dazio, perché di questo si tratta, alle importazioni in Ue sulla base del contenuto carbonico di alcune merci si tradurrà inevitabilmente in aumento del costo di alcuni decisivi beni al consumo, acciaio e cemento per esempio, con effetti inflattivi certi. E l’inflazione come sappiamo è la più odiosa delle tasse occulte sui poveri e il ceto medio. Oltretutto nel momento in cui la Banca centrale aumenta i tassi di interesse per combatterla. La mano sinistra non sa quello che fa la mano destra, anzi agisce in senso contrario. Senza considerare la possibile risposta uguale e contraria dei paesi esportatori verso la Ue, Cina in primo luogo, che potrebbero rivalersi penalizzando l’export dei nostri beni.

Stessa cosa per la riforma dell’Ets, il sistema europeo di scambio delle quote di emissione di gas serra, che sarà esteso al settore del riscaldamento domestico e dei trasporti, oltre che reso più costoso con l’eliminazione della quote gratuite. Così mentre da un lato gli stati si affannano a concedere sconti fiscali e bonus vari per ridurre il peso del costo dell’energia e dei carburanti, dall’altra se ne aumenta il peso fiscale.

Poi c’è la serie di misure previste per rendere più verdi le nostre case.

In Italia parliamo di almeno 10 milioni di abitazioni, anche esse di proprietà prevalentemente delle fasce più deboli. Si tratta di investimenti di decine di migliaia di euro per unità abitativa. Rafforzata dalla decisione di non permettere più l’uso delle caldaie a gas, dopo che incentivi importanti sono stati concessi negli anni passati per favorire l’uso di quelle a condensazione.

Ma, si dice, tutte queste misure aumenteranno le entrate fiscali della Ue e un fondo importante, 87 miliardi circa, sarà messo a disposizione degli stati per aiuti alle fasce più deboli. Cosa ben diversa da un’automatica e compensativa riduzione dell’imposizione fiscale, e con due avvertenze. Questa impostazione rafforza la capacità discrezionale delle amministrazioni statali nell’allocazione degli incentivi con tutte le distorsioni che già abbiamo sperimentato. Inoltre, mentre paesi come la Germania hanno già annunciato forti incentivi aggiuntivi a carico del proprio bilancio, lo spazio fiscale italiano è praticamente inesistente. Siamo il classico vaso di coccio fra i costi delle transizione. Diversi esponenti politici cominciano a pensare che queste misure avranno un peso decisivo nelle prossime elezioni europee. E rischiano di penalizzare fortemente proprio i principali sostenitori di queste misure: sinistra e popolari. E cominciano i mal di pancia. In effetti la sottovalutazione da parte della sinistra degli effetti economici sui ceti sociali che dovrebbero essere il suo riferimento elettorale appare alquanto stravagante. A meno che non sia vero che essa si è ormai rinchiusa all’interno delle Ztl. 

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