Raffaele Fitto e Giorgia Meloni (Lapresse)

Riformismo dimezzato

Il baco del Pnrr è nel rapporto tra governo e comuni. Tre guai

Marco Leonardi

Quel che conta ora è che l'esecutivo non torni indietro per paura di affrontare le riforme. Il Piano europeo è sempre stato un processo di apprendimento continuo delle difficoltà e del loro superamento attraverso interventi successivi

Un decreto che accentra la governance del Pnrr a Palazzo Chigi con tutti i ritardi che questo comporta, una richiesta seppur mai precisata di spostare alcuni progetti Pnrr sui fondi strutturali europei o sui fondi di coesione nazionali e soprattutto la narrazione generale che è passata da “dobbiamo far di tutto per rispettare i tempi del Pnrr” a “non ce la faremo mai, bisogna rivedere tutto”. Tre iniziative che possono generare qualche preoccupazione. Rinnegare i vincoli del Pnrr spostando i progetti sulla programmazione ordinaria dei fondi di coesione (che però richiede un cofinanziamento nazionale) può essere una iniziativa popolare presso i comuni che si sentono oberati di responsabilità però non può voler dire rassegnarsi ai soliti ritardi e inconcludenze tipici degli investimenti finanziati sui fondi di coesione. Quel che conta ora è che il governo Meloni non torni indietro sul Pnrr per paura di affrontare le riforme in esso contenute (balneari e molte altre) e le difficoltà che i comuni dovranno affrontare per spendere le risorse del Piano.

 

Il Piano è ormai ben noto a tutti e non si può dire che riforme e difficoltà di attuazione degli investimenti non fossero ben note fin dall’inizio. I comuni di tutte le dimensioni sono destinatari di più del 40 per cento delle risorse totali e il 40 per cento è stato assegnato ai comuni del Mezzogiorno. Bisogna far lavorare gli strumenti che sono già previsti per aiutarli o prevederne di nuovi. È noto che molti comuni mancano del personale tecnico e amministrativo per gestire le gare e per questo il Pnrr ha previsto, fin dall’inizio, un potenziamento. Esiste un elenco di professionisti e un elenco del personale (assunzioni a tempo determinato) da cui si può attingere per procedure concorsuali che dovranno essere gestite dai comuni stessi. Inoltre, per i comuni con meno di 5.000 abitanti, che sono 2/3 del totale, è stato stabilito un fondo specifico per le assunzioni.

 

L’obiettivo di questa iniezione di personale aggiuntivo è proprio quello di aiutare i tecnici comunali a gestire i progetti ma a sentire i comuni stessi sembra che le difficoltà di inserimento siano notevoli. Al nuovo personale alcuni funzionari comunali preferirebbero un riconoscimento economico per le responsabilità addizionali che si prendono con il Pnrrr. Per volontà politica molti comuni hanno partecipato e spesso vinto un numero elevato di bandi, spesso i tecnici comunali sono pochi, devono seguire anche l’attività ordinaria e temono il codice degli appalti in fase di cambiamento. Il comparto in questi anni ha perso il 27 per cento degli addetti (e anche un po’ del prestigio della carica), l’età media supera i 52 anni. Il problema dei comuni però non sta solo nel personale. Si tenga presente che mentre nei fondi europei di coesione è prevista una percentuale del 4 per cento dedicata all’assistenza tecnica, il Pnrr non prevede tale possibilità.

 

Per questa ragione fin da subito si è potenziata l’assistenza tecnica con due piattaforme di servizi che supportano i comuni nell’intero ciclo degli investimenti dalla programmazione iniziale fino alla rendicontazione: una gestita da enti centrali come Cdp e Invitalia e l’altra gestita dall’associazione dei comuni Anci-Ifel. Se le assunzioni di personale nei comuni stanno andando a rilento a maggior ragione è importante favorire al massimo l’accesso all’assistenza tecnica. Si può fare sicuramente molto di più per aiutare i comuni, del resto il Pnrr è sempre stato un processo di apprendimento continuo delle difficoltà e del loro superamento attraverso interventi successivi. Si può semplificare ulteriormente le procedure, rendere più appetibili le assunzioni nei comuni e potenziare le assistenze tecniche ad iniziare da quelle che già ci sono. Il problema è non perdere tempo e non andare controcorrente. Per fare un esempio, il decreto di riordino del Pnrr ha deciso di abolire l’Agenzia della Coesione per farla confluire nel dipartimento della Presidenza del Consiglio. Ma l’Agenzia della Coesione aveva la flessibilità organizzativa tipica di un’agenzia (come l’Agenzia delle Entrate, l’Agenzia del Demanio etc.) poteva assicurare forme di assistenza tecnica più immediate nei comuni del sud: poteva pagare i professionisti che lavoravano nei comuni e i fondi di progettazione per fare i progetti; poteva dare supporto ai comuni anche con funzioni di “call center”. Abolirla per averne il controllo completo all’interno di un dipartimento o di un ministero oltre a rellentare il lavoro di molti per la necessaria riorganizzazione è proprio un errore: un dipartimento di un ministero non può fare l’assistenza tecnica che può assicurare un’agenzia.

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