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Roma vs. Bruxelles

L'Ue paga 300 milioni di euro per sei milioni di alberi, e noi piantiamo sei milioni di semi

Salvatore Merlo

Ora il Recovery ce lo levano. Che succederà ai denari del Pnrr quando un commissario europeo pianterà addosso ai nostri ministri i suoi occhi grigi da analista contabile?

In un’ideale ed eventuale storia della cialtroneria italiana, un giorno probabilmente non si potrà non citare la storia dell’Europa che con il Pnrr pagò l’Italia perché piantasse circa due milioni di alberi nelle sue città metropolitane ed ebbe in cambio due milioni di semi. Al prezzo di trecentotrenta milioni di euro. Roba da sbellicarsi, o disperarsi. Uno degli obiettivi del piano di prestiti europei, legato alla transizione ecologica, chiede infatti al nostro paese di piantare 6,6 milioni di alberi entro la fine del 2024. Circa due milioni di questi alberi, però, andavano piantati entro il 31 dicembre 2022. Ecco.

Ovviamente, come si può ben immaginare, non è andata precisamente in questo modo. “Solo alcune città metropolitane sono andate oltre la fase di progettazione”, ha scritto martedì la Corte dei conti, chiamata a vigilare sui miliardi del Pnrr. Bene. Anzi, male. Quelle poche città che si sono infatti spinte oltre il brivido dello studio tecnico di fattibilità, dice sempre la Corte dei conti, “hanno piantato semplici semi invece di collocare piante già cresciute nei luoghi prescelti”.

E se già questa storia sembra una favola di Giufà, l’idiota che sentendosi dire dalla mamma “uscendo tirati dietro la porta” decide di scardinare la porta di casa portandosela sulle spalle, sentite adesso con che cautela, delicatezza, mani avanti e piedi di piombo i giudici della Corte dei conti, martedì, forse in realtà trattenendo le risate, hanno infine espresso le loro perplessità sull’andamento dell’intera faccenda dubitando “dell’effettiva equivalenza tra coltivazione di semi e piantumazioni di alberi già adulti”. In effetti le faggiole non sono faggi. E se uno compra un olivo, non gli dai un nocciolo d’oliva. Ci voleva la Corte dei conti per capirlo.

Ovviamente non stiamo qui a chiederci a chi sia venuto in mente di piantare una ghianda, e non una quercia, sui viali di Roma o di Milano. Da decenni siamo convinti che l’amministrazione dello stato, dei comuni e delle regioni debba essere considerata una branca della letteratura fantastica. Adesso tentiamo soltanto, per un attimo, di immaginarci la faccia della Commissione europea, che ci ha rimpinzato di soldi, quando gli si dovrà spiegare che  i semi forse non diventeranno mai degli alberi, ma sono comunque buonissimi. Forse un po’ cari, è vero, bisogna ammetterlo, tuttavia male che vada ci si potranno sempre fare i bruscolini tostati.

E che succederà ai denari del Pnrr quando uno di questi commissari, uno tipo Valdis Dombrovskis, detto “il falco lettone”, pianterà addosso ai nostri ministri i suoi occhi grigi e gelidi da analista contabile? Pare di vederli, Giorgetti e Fitto. Sembra la scena di Fantozzi nella clinica per dimagrire, quando ruba le crocchette dal mega vassoio del medico sadico (e tedesco): “Tu mangia?”. In definitiva, coltivando un’illogica fiducia nel verificarsi dell’improbabile, resta da sperare che non se ne accorgano. E che insomma, assai italianamente, anche a Bruxelles si convertano alla legge del Menga. Secondo la quale, com’è noto, chi ha un seme se lo tenga (assieme ad altri duecentotrentacinque miliardi di euro).

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.