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Poche chiacchiere

Perché la vera riforma del fisco comincia dalla spesa (sono dolori)

Nicola Rossi

La formula "paghi due e prendi uno" è un caposaldo della burocrazia: un grave problema per i cittadini, costretti a remunerare sia la pubblica amministrazione sia i privati che offrono i servizi che lo stato non riesce a garantire

È una trovata a dir poco geniale. Immaginate di gestire una attività economica e supponete di poter organizzare le cose in maniera tale da poter costringere la vostra clientela a versarvi quanto dovuto per alcuni dei vostri servizi, senza peraltro usufruirne, e a dover rivolgersi a terzi per gli stessi servizi pagando nuovamente per gli stessi. Sareste adorato dai vostri dipendenti che beneficerebbero di un carico lavorativo più leggero e sareste altresì venerato dagli imprenditori terzi beneficiati di una maggiore domanda, che altrimenti non avrebbero sperimentato, per i loro servizi. Geniale ma impossibile, direte. Sbagliato. È quello che quotidianamente fa la nostra pubblica amministrazione. Qualche esempio segue.

 

Sabino Cassese spesso ci ricorda che lo stato si avvale dei “notai, privati professionisti, per svolgere le funzioni più varie, da quella di controllare che l’edificazione avvenga sulla base di concessione, a quella di verificare che siano denunciati i redditi fondiari, a quella che non si ricicli denaro sporco, a quella di aggiornare il catasto” (Lo Stato introvabile, 1998). Giustamente remuneriamo i notai per i servizi appena menzionati e, ovviamente, paghiamo le tasse per remunerare quegli impiegati pubblici ai quali potrebbero (dovrebbero) essere affidate le attività oggi rese dai notai. Dunque: paghi due e prendi uno. Perché la grande maggioranza dei legali di impresa preferisce le procedure arbitrali alla giustizia ordinaria? Secondo la Camera Arbitrale di Milano – l’indiscusso punto di riferimento nazionale sul tema – per la maggiore rapidità e prevedibilità del procedimento e per la possibilità di scegliere i componenti dei collegi arbitrali garantendone la neutralità, assicurando la confidenzialità e la tutela della privacy. E accettano di sopportarne il costo: l’accesso ad una procedura arbitrale standard presso la Camera Arbitrale di Milano è possibile ad un costo che oscilla fra il 5% ed il 10% del valore della controversia per controversie di valore pari o inferiore ad un milione di euro per attestarsi intorno al 3% (o anche meno) al crescere del valore stesso. In tutti i casi cifre rilevanti che le imprese accettano volentieri di versare oltre a quanto le stesse ed i loro proprietari versano nelle casse dello Stato sotto forma di imposte. Anche qui: paghi due e prendi uno. 

 

Immediatamente prima della pandemia, gli istituti di vigilanza privata in Italia erano poco meno di 2.400 con poco meno di 90 mila occupati. Nello stesso periodo il fatturato delle prime dieci – solo le prime dieci! – aziende nazionali di vigilanza privata si aggirava intorno al miliardo e quattrocento milioni di euro (oscillando fra i 300 ed i 100 milioni, rispettivamente, della prima e della decima). Una cifra che – se riportata, sia pure con cautela, all’universo degli istituti di vigilanza – lascia immaginare un fatturato complessivo del comparto non proprio trascurabile rispetto al volume odierno della spesa pubblica per l’ordine pubblico e la sicurezza. Un servizio finanziato dalle imposte versate dagli stessi contribuenti che si servono delle aziende di vigilanza privata (pagandone i relativi costi). Come sopra: paghi due e prendi uno.

 

Dulcis in fundo: i servizi fiscali e previdenziali. Non è inusuale sentirsi dire dai pubblici impiegati che dovrebbero contribuire a fornirli la magica frase: “Vada al Caf. Pagherà qualcosa ma vedrà che le sbrigheranno la pratica in breve tempo”. Fino a qualche anno i Caf in Italia erano circa ottanta ed il loro fatturato era, per circa due terzi, niente altro che contribuzioni pubbliche. Detto in altri termini: si pagano le tasse per sostenere la pubblica amministrazione che dovrebbe rendere alcuni servizi, si pagano le tasse per permettere alla pubblica amministrazione di sostenere i privati che rendono quegli stessi servizi al posto suo e, infine, si paga il privato per i servizi che ci rende. E quattro: paghi due e prendi uno. Lasciare che si formino servizi sostitutivi e lasciare che i cittadini ne facciano è l’uovo di Colombo: consente di non intervenire sulle inefficienze e sulle lacune nella fornitura dei servizi pubblici e permette, a parità di ogni altra condizione, una riduzione del carico di lavoro. Facendo felici tutti tranne i contribuenti. E pensare che c’è chi sostiene che la pubblica amministrazione è priva di fantasia. Avviso ai naviganti (nel mare della riforma fiscale): la realtà è sempre la stessa, la vera riforma del fisco comincia dalla spesa.

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