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“Al servizio della nazione”

I rimedi di Sabino Cassese alle disfunzioni dello stato italiano

Lorenzo Casini

I dati Ocse restituiscono una pubblica amministrazione vecchia, indigente, senza ricambio e priva di prospettive di carriera. Nel suo ultimo libro, l'ex ministro del governo Ciampi analizza una macchina pubblica in briciole, deteriorata dalla burocrazia e piena di contraddizioni. Ma senza pessimismo

"Il lavoro burocratico è pessimamente organizzato, epperciò, sebbene le paghe siano modeste, la resa del lavoro è minima ed il costo enorme; ed opprimenti le imposte che i contribuenti debbono pagare per mantenere un ceto burocratico povero, malcontento, invidioso ed improduttivo. Finché si lascia immutata la organizzazione attuale, bisogna dichiarare che il problema è insolubile”. Così nel 1919 Einaudi descriveva la burocrazia italiana; ancora oggi, i dati Ocse ci restituiscono una pubblica amministrazione vecchia, indigente, senza ricambio e priva di prospettive di carriera. L’ultimo libro di Sabino Cassese (Amministrare la nazione. La crisi della burocrazia e i suoi rimedi, Mondadori, 2023, pp. 141, Euro 17,50) ricostruisce con cura e sapienza il perché di questa lunga crisi della sala motori dello stato, con 3,3 milioni di addetti e una spesa di circa la metà del pil. Con stile leggero, periodi brevi, ritmo serrato, l’autore offre un’analisi lucida e preziosa perché ricca di storia, dati, esempi, comparazione.

 

La macchina pubblica italiana appare “en miettes” (Dupuy e Thoenig), in briciole, non solo perché pluralista e differenziata, ma perché dominata dalle disfunzioni: basti citare le autorizzazioni per aprire un bar o una gelateria, per cui, ci ricorda Cassese, servono fino a 72 adempimenti, che coinvolgono fino a 26 uffici, con un costo di 15.000 euro. Il libro, in 12 capitoli, si sofferma innanzitutto sulla storia del nostro “paese prismatico”, perché “pieno di contraddizioni”, e sulla burocrazia come “nemico da combattere”. Sono poi esaminate le ragioni dello stallo dell’amministrazione e della sua crisi. Tra motivi antichi, come la morte prematura di Cavour, e recenti, come la reazione a Tangentopoli, l’autore identifica nove fattori: i limiti della democrazia; l’invecchiamento amministrativo; le leggi-provvedimento e la c.d. esondazione legislativa; il fallimento della separazione tra politica e amministrazione; le minacce permanenti di Anac e Corte dei conti; l’eccessivo protagonismo delle procure; l’atteggiamento troppo difensivo dei funzionari pubblici; le procedure dirette più ad assicurare garanzie che a decidere meglio; la pandemia e i suoi effetti, specialmente nella sanità e nella scuola. Successivamente, l’autore esamina lo stato “arcipelago”, la corruzione e la maladministration, le disfunzioni e le condizioni per superarle. Da ultimo, Cassese si concentra sul ruolo del diritto amministrativo, su quello dei giudici e, infine, sulle tendenze odierne.

 

È un’immagine senza filtri, a tratti impietosa, ma non pessimista. Cassese non vede nel futuro un collasso dell’Italia, perché la frammentazione amministrativa permette “la coesistenza di istituzioni efficienti e di istituzioni inefficienti”, l’Ue assicura continuità agli apparati e le amministrazioni italiane hanno sempre avuto la “capacità di ricorrere a straordinari strumenti sussidiari di emergenza”. Quali sono i rimedi? Cassese ne indica molti. L’obiettivo è avere dirigenti che sappiano fare sia il “falegname”, che “modella, lavora, porta fino in fondo l’opera, di cui ha il pieno controllo”, sia il “giardiniere”, che “disegna, pianta, concima, pota, ma deve tener conto anche della terra, del clima, dei venti, delle piogge, tutti fattori di cui non ha il controllo diretto”. Vanno allora costruiti percorsi formativi e di reclutamento di eccellenza, con la Scuola nazionale dell’amministrazione, basati sullo scambio di esperienze e sulla risoluzione di problemi reali. Va abbattuto il formalismo giuridico in favore di modelli interdisciplinari, con teoria e pratica di scienze comportamentali, politiche pubbliche, economia, e va recuperato un ruolo guida dello Stato nelle materie scientifiche (come tentato con la cybersecurity). Ma come correggere davvero le disfunzioni della burocrazia? 

 

Innanzitutto, va rivisto il sistema dei salari: se i compensi degli apicali – a parte l’improvvido “tetto” che rende il settore pubblico meno competitivo di quello privato – sono in media Ocse, quelli di funzionari e insegnanti sono da paese non industrializzato, anche perché mancano adeguati meccanismi di incentivi, crescita e premialità. Naturalmente questo piano va accompagnato con una revisione delle dotazioni organiche aggiornata alle nuove tecnologie. Bisogna poi riequilibrare il rapporto tra politica e amministrazione, riducendo il peso del governo “legislatore” e l’esondazione legislativa. Va sconfitto il “complesso del Sinai” già descritto da J.H. Merryman molti decenni fa, per cui la burocrazia fa solo quello che la legge dice di fare e, se non è scritto lì, si paralizza. Va superata la “paura” della firma. Infine, dobbiamo tutti dedicarci alla scuola, dove va insegnato il valore primario che l’amministrazione ha nello stato e, dunque, per noi: non esiste democrazia senza istruzione.

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