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meglio delle aspettative

La crescita nel 2023 e il sorprendente dinamismo dell'economia italiana

Luciano Capone

A settembre le stime sul pil del Mef sembravano ottimistiche se non esagerate (+0,6%). Da Bankitalia al Fmi tutti stanno alzando le previsioni: per la Commissione Ue la crescita sarà +0,8%. Il sistema produttivo italiano ha regito bene agli shock

Quando nella Nadef di fine settembre, presentata subito dopo le elezioni dal governo Draghi uscente, il Mes stimava per il 2023 una crescita dello 0,6 per cento erano in pochi a crederci. Con il prezzo del gas allora a 200 euro/MWh e la stretta monetaria della Bce in corso quasi tutti gli osservatori nazionali e internazionali prevedevano per l’Italia una crescita molto più contenuta, se non addirittura una recessione. Ad esempio la Commissione europea nelle sue previsioni d’autunno stimava per l’Italia una crescita dello 0,3 per cento, stessa previsione per la Banca d’Italia, mentre l’Ocse si fermava a uno 0,2 per cento e il Fmi nell’outlook di ottobre annunciava la recessione (-0,2 per cento).

 

In questo contesto, le previsioni macroeconomiche del Mef apparivano se non gonfiate comunque caratterizzate da un eccesso di ottimismo. Pare che addirittura a Via XX Settembre avessero dovuto limare un pochino al ribasso le previsioni di crescita per evitare contrasti con l’Ufficio parlamentare di Bilancio. Eppure, alla fine, le previsioni del ministero dell’Economia – allora supervisionate dal capo economista Riccardo Barbieri, ora diventato direttore generale del Tesoro – si stanno dimostrando più realistiche di quanto si potesse sperare. Tanto che nelle ultime settimane le principali istituzioni stanno ritoccando le stime per l’Italia verso i valori indicati dal Mef: la Banca d’Italia ha alzato la crescita per il 2023 allo 0,6 per cento; anche il Fmi alzato la crescita italiano allo 0,6 per cento (+0,8 punti rispetto a ottobre) e, infine, ieri la Commissione europea ha rivisto all’insù le sue previsioni autunnali di mezzo punto allo 0,8 per cento.

 

Storicamente erano le previsioni del governo italiano che dovevano adeguarsi su livelli più bassi. Ma negli ultimi due anni è accaduto il contrario, non solo le stime del Mef non dovevano essere ribassate ma venivano addirittura superate dai dati reali della crescita. Solo nell’ultimo anno, il Mef ha dovuto alzare la crescita per il 2022 dal 3,1 per cento del Def di aprile al 3,3 della Nadef di settembre, al 3,7 della Nadef rivista di novembre, per poi dover registrare un 3,9 per cento finale. Al di là dei vari modelli usati, che sono tutti fallibili e perfettibili, il dato sorprendente è il dinamismo dell’economia italiana che pareva dover soccombere sotto i colpi prima della pandemia e poi dello choc energetico, soprattutto in virtù del suo tessuto produttivo composto prevalentemente da pmi, con un importante peso della manifattura e una forte dipendenza energetica dal gas russo.

 

Le cose stanno andando molto meglio del previsto: dopo due anni di crescita a tassi superiori alla media europea, durante i quali è stato recuperato il crollo dovuto alla pandemia, secondo la Commissione nel 2023 l’Italia continuerà a crescere al livello della media europea (cosa che non accadeva prima del Covid). L’economia italiana, dato il contesto, è in buona salute. Nell’ultimo trimestre dell’anno, il più duro, si è registrata la prima variazione negativa del pil (-0,1 per cento) dopo sette trimestri consecutivi di crescita, ma il dato migliore delle aspettative indica che verosimilmente verrà evitata la recessione tecnica (ovvero un altro trimestre negativo). Già a dicembre la produzione industriale è aumentata dell’1,6 per cento e a gennaio la fiducia delle imprese è aumentata per il terzo mese consecutivo. A dicembre il mercato del lavoro ha continuato a mostrare miglioramenti, con l’occupazione salita al 60,5 per cento e la disoccupazione stabile al 7,8 per cento, ma anche con un rafforzamento qualitativo data la crescita dei contratti permanenti a fronte di un calo di quelli a termine.

 

I dati della crescita italiana, doppiamente esposta allo choc energetico per via della dipendenza dal gas russo e allo choc inflazionistico per via degli effetti del rialzo dei tassi sul debito, sono sorprendenti soprattutto se confrontati con quelli di Francia e Germania, le due locomotive dell’economia europea, che secondo le stime della Commissione nel 2023 dovrebbero fare peggio dell’Italia anche quest’anno (+0,2 per cento Berlino e +0,6 per cento Parigi). Sicuramente la discesa del costo dell’energia ha dato un enorme contributo, ma l’economia italiana, e in particolare l’industria, ha mostrato una sorprendente flessibilità e capacità di adattamento. Il compito del governo, e della politica in generale, dovrebbe essere quello di fare la propria parte sul lato degli investimenti e delle riforme. In sostanza: non sprecare l’occasione del Pnrr.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali