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l'ora dell'agenda leo

Maurizio Leo è l'uomo da seguire in FdI per capire l'economia della Meloni 

Stefano Cingolani

Conservatore dal lato della spesa (niente scostamento), innovatore sulle entrate: il suo cavallo di battaglia è “più assumi meno paghi”. Ecco i progetti, non a buon mercato, del responsabile economico di Fratelli d’Italia

Né agenda Draghi né agenda Salvini, dobbiamo abituarci all’agenda Leo, ispirata e scritta dal professor Maurizio, responsabile economico di Fratelli d’Italia, esperto di fisco, candidato a un posto importante nel prossimo governo. Forse proprio alle Finanze se verranno scorporate dal superministero dell’Economia lasciando il Tesoro e il Bilancio magari a un tecnico di area.

 

Lo vedremo presto e lo stesso Leo vuole che la lista da presentare al presidente della Repubblica venga annunciata il prima possibile. Perché il tempo è tiranno e già incombe quella tempesta che Giorgia Meloni avrebbe volentieri lasciato al governo Draghi. Il professore di idee ne ha in abbondanza e le ha sciorinate in queste ultime due settimane quando si è sottoposto a una sorta di road show per giornali e tv. Conservatore dal lato della spesa (niente scostamento) innovatore sulle entrate, il cavallo di battaglia è “più assumi meno paghi”. Ma i suoi progetti non sono affatto a buon mercato. “Le strade e le idee per recuperare le risorse sono molteplici – spiega – per esempio un ‘nuovo’ modello di imposizione degli extraprofitti tributari, diverso da quello ideato dal governo Draghi; la relativa maggiore Iva incassata per effetto dell’inflazione; le entrate derivanti dalla realizzazione della ‘tregua fiscale’; l’utilizzo dei fondi strutturali non programmati”. Gli economisti de lavoce.info hanno pubblicato cifre da capogiro e phastidio.net (alias Mario Seminerio) ha criticato nel merito il “premio di produttività nazionale”, la sua ratio e i suoi costi: “Tasse piatte che s’impennano e incentivi immaginari”, ha scritto. Ma facciamo parlare il professor Leo. 

Romano, 67 anni, è stato per due anni assessore al Bilancio con Gianni Alemanno, ma la sua carriera politica e professionale è assai lunga. Il Foglio ha pubblicato un suo ritratto per la penna di Marianna Rizzini, quindi ripassiamo soltanto il suo percorso. Laureato in Giurisprudenza alla Sapienza, s’è specializzato in studi europei presso l’istituto De Gasperi, ha insegnato alla Scuola della Guardia di Finanza e alla Scuola superiore di Pubblica amministrazione. Collabora con il Sole 24 Ore sul fisco, nel 2001 è entrato a Montecitorio con Alleanza nazionale e non l’ha mollata fino al 2013 quando è entrato nel neonato Fratelli d’Italia. Nel 2020 ha sfidato Roberto Gualtieri nelle suppletive, ma è stato sconfitto. Da allora ha lavorato per dare corpo al programma economico del partito o meglio al programma di governo. 

Squaderniamo la sua agenda, partendo dal caro energia. Qui il professor Leo non si distacca troppo dal professor Draghi: sì al tetto sul prezzo del gas, al disallineamento con il prezzo della elettricità, all’aumento delle risorse nazionali compresi le trivellazioni, i rigassificatori e il nucleare. E’ d’accordo anche sul tassare gli extraprofitti, seppur in modo diverso: “La norma attuale non ha funzionato, essa prevede che bisogna misurare gli extraprofitti sulla base dei cicli di fatturazione, raffrontare quindi le operazioni attive e passive Iva del periodo primo ottobre 2021-30 aprile 2022 con il saldo del periodo primo ottobre 2020-30 aprile 2021. La fatturazione Iva non fotografa quello che puntualmente è l’extra profitto. La soluzione da adottare è andare a vedere qual è il vero margine che deriva dai veri ricavi dell’energia e raffrontarli con un periodo precedente”. 

Un gettito maggiore potrebbe arrivare anche dalla “tregua fiscale” (e qui s’incontra con Salvini). Sentiamolo: “Sappiamo che anche il direttore dell’Agenzia delle entrate Ruffini ha detto che c’è uno stock di cartelle esattoriali di millecento miliardi. Circa ventitré milioni di italiani hanno una cartella esattoriale e la Corte dei conti ha detto che di questo stock si può recuperare solo il 7 per cento. L’Agenzia delle entrate e riscossione deve togliere di mezzo le cartelle inesigibili, lì non si potrà riscuotere niente, quindi bisognerà fare pulizia. Poi abbiamo le cartelle di ammontare inferiore. Quelle che hanno un importo fino a mille euro bisogna stralciarle; da mille a tremila euro, si può fare un saldo e stralcio; sopra, si tolgono sanzioni e interessi e si dà la possibilità di pagare dai cinque ai dieci anni”. Non è un condono, ma la filosofia resta la stessa. “La tregua fiscale può portare sicuramente gettito aggiuntivo. Noi ci aspettiamo risultati importanti ossia per lo meno dai sette ai dieci miliardi”. 

Altre risorse possono essere ricavate tassando le criptovalute “sulle quali hanno investito banche e privati realizzando incrementi importanti”. C’è poi il rientro dei capitali dall’estero: “E’ una proposta che venne realizzata dal procuratore di Milano Francesco Greco. All’epoca si parlava addirittura di 150-200 miliardi di euro, denaro stipato in cassette di sicurezza o all’estero. Possiamo immaginare che il 50 per cento della somma regolarizzata volontariamente sia soggetto a tassazione ordinaria, con aliquote progressive andando a fare cumulo. In questo modo si aumentano gli introiti per lo stato. E sono convinto che le somme aggiuntive potrebbero essere reinvestite per l’acquisto di titoli di debito italiano o per iniziative a sostegno dell’economia reale e per puntellare le piccole e medie imprese”. 

Di revisione del catasto non si parla proprio: “Non vedo perché, se Francia e Germania non lo fanno dagli anni 70”. La concorrenza sulle spiagge meglio dimenticarla. Quanto al Pnrr “sono opportune alcune integrazioni  per tener conto dello scenario mutato”. Sarà da vedere in pratica che cosa vuol dire. 

E arriviamo così alla questione più controversa. “La flat tax al momento non ha le coperture. Per questo partiremo già nei primi 100 giorni di governo con una tassa piatta incrementale”, sostiene Leo. E precisa: “Se un contribuente ha guadagnato 40 mila euro e l’anno dopo 60 mila pagherà un’aliquota fissa del 15 per cento sui 20 mila euro eccedenti. In questo modo ci aspettiamo un aumento di gettito. Obiettivo finale, nell’orizzonte dell’intera legislatura, è arrivare a quella strutturale, sempre nel rispetto dell’articolo 53 della Costituzione”, cioè una tassazione progressiva non proporzionale. L’aliquota unica è, quindi, la meta di un lungo percorso che vede un accorpamento delle aliquote attuali senza toccare la no tax area. E in che cosa consiste il vantaggio fiscale per chi assume?

Sarà “una super-deduzione del costo del lavoro per le imprese che nei tre anni precedenti hanno incrementato il numero di lavoratori: 120 per cento per tutti innalzato al 150 per categorie fragili e nelle zone svantaggiate”. Una delle critiche è che si tratta di un premio per chi ha già assunto nuovi dipendenti per motivi economici generali, se si trasforma un incentivo all’overstaffing, cioè a mantenere manodopera eccessiva, diventa una sorta di superbonus 110 per cento, il che riduce la produttività e mina la solidità delle stesse imprese. Nel gergo della finanza c’è una definizione terribile: aziende zombi, morti che camminano sostenuti dai contribuenti. Ma aspettiamo il dettaglio della proposta se e quando il professore diventerà ministro.

Le tasse sono il suo “terreno di caccia”, però Maurizio Leo parla volentieri a tutto campo. Ita Airways: “Giorgia Meloni ha perfettamente ragione, non è una società da poco e il governo attuale dovrebbe occuparsi solo degli affari correnti. A mio giudizio sarebbe più corretto attendere qualche tempo in più e fare affrontare questa tematica al nuovo governo”. Il Monte dei Paschi di Siena: “La partecipazione dello stato è estremamente rilevante, per questo bisognerà adottare delle decisioni mirate. Nel momento in cui c’è una partecipazione di questo tipo, bisogna trovare un indirizzo univoco, ed è fondamentale salvaguardare i livelli occupazionali”. Insomma, anche qui niente fretta, attenti a chi si vende e come, ma forse alla fine della fiera non è meglio tenersi la banca? Le nomine della prossima primavera: “Claudio Descalzi sta lavorando molto bene, davvero chapeau. I manager pubblici che svolgono bene il loro mestiere stanno garantendo importanti ritorni economici allo stato”. Anche Matteo Del Fante “sta facendo benissimo alle Poste”. E’ stato nominato da Matteo Renzi, “ma abbiamo bisogno di capi azienda così”. Lo spoils system, insomma, si ferma davanti al merito e al risultato. E’ una promessa, anzi un impegno. Segniamocelo per non dimenticarlo nei prossimi mesi. 

Da questa carrellata si capisce che l’agenda Leo non è certo reaganiana. Contiene una complessa operazione fiscale, non un taglio delle tasse che, per la verità, manca anche in Salvini e Berlusconi se si va a leggere le loro proposte. Non è aria, né è tempo di privatizzazioni, ciò vale sia per la Lega sia per Forza Italia. Quella italiana non è una destra liberista e per lo più nemmeno liberale. Il melonismo è protezionista come la Lega, ma statalista come il M5s e la sinistra radicale. Su cosa salvare o cosa nazionalizzare, Maurizio Leo sembra orientato a valutare caso per caso, in modo pragmatico e molto discrezionale, forse perché non è il suo campo, forse perché è terreno minato e il gioco dei poteri forti spetta solo a Giorgia.

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