AP Photo/Michael Probst 

Cara Bce, alzare i tassi non aiuterà a combattere l'inflazione. Guai in vista

Paolo Cirino Pomicino

L’inflazione nell’Eurozona è tutt’altra cosa rispetto a quella americana. La nostra è una inflazione da costi e, in particolare, da costi delle materie prime con i prodotti energetici e anche grazie alla filiera degli alimentari a partire dal grano

Le ultime decisioni della Banca centrale europea erano in gran parte scontate. L’aumento dei tassi di interesse dello 0,50 per cento era infatti ritenuto prevedibile dai più, visto che l’inflazione nella zona euro si avvicina pericolosamente al 10 per cento annuo e l’euro cominciava a svalutarsi avvicinandosi alla parità con il dollaro. Nonostante questi dati, riteniamo che questa decisione sia sostanzialmente sbagliata o, se volete, errata nella sua dimensione.

 

L’inflazione della Eurozona, infatti, non è come quella americana legata strettamente a una crescita impetuosa della domanda interna che alimenta a sua volta un tasso di crescita economica dell’8 per cento con una riduzione del tasso di disoccupazione intorno al 3,5 per cento; cioè, tecnicamente, negli Usa non c’è disoccupazione. L’inflazione nell’Eurozona è tutt’altra cosa. La nostra è una inflazione da costi e, in particolare, da costi delle materie prime con i prodotti energetici e anche grazie alla filiera degli alimentari a partire dal grano. Infatti la nostra inflazione di fondo, quella al netto dei prodotti energetici e degli alimentari freschi, non raggiunge il 4 per cento e non crediamo meriti una cura monetaria da cavallo. Questa diversità di origine della inflazione dovrebbe richiedere una diversa terapia per evitare che la tradizionale stretta monetaria, sebbene funzionerà negli Usa, da noi invece inciderà poco sul tasso di inflazione e avrà come effetto paradossale un rallentamento della crescita che nell’Eurozona già presenta una striminzita previsione del 2,7 per cento. 

 

Qual è il tema sul quale cade da sempre il silenzio? Sono i mercati finanziari delle materie prime che restano totalmente deregolamentati e sui quali signoreggiano i flussi finanziari della grande speculazione. Non è un caso ad esempio che l’aumento del prezzo del gas in Europa si è presentato nell’ultimo quadrimestre del 2021, quando il prezzo è salito da 20 euro per kilowattora a oltre 80 grazie a un improvviso aumento degli scambi sui future del gas per oltre due milioni di transazioni. Ma è davvero così impossibile affrontare una regolamentazione di questi mercati finanziari correggendo l’andamento anche con apposite misure fiscali e normative onde evitare che il mondo soffra grazie all’interesse di pochissimi? La debolezza della politica è davvero strabiliante contro l’intreccio finanza-informazione che garantisce una cintura di consenso che non si discute neanche, tanto forti sono la loro tenuta e capacità di procedere imperterrite sulle rovine di intere parti delle popolazioni coinvolte. Per tornare all’aumento del tasso di sconto deciso dalla Bce, è giusto sottolineare che quell’aumento rafforza l’euro che stava scivolando sotto alla parità col dollaro con effetti benefici per le nostre esportazioni ma molto negativi sulle nostre importazioni. L’Italia, paese trasformatore e privo di materie prime, resta un grande importatore. Se così stanno le cose abbiamo l’impressione che l’inflazione ce la terremo per molto tempo ancora con il rischio di vedere lentamente crescere non la nostra economia ma solo la sua recessione. 

Di più su questi argomenti: