(foto di Ansa)

whatever it takes

Il giorno della Bce. Alzare i tassi è necessario, tenere unita l'Eurozona è un dovere 

Stefano Cingolani

La riunione del Consiglio di oggi potrebbe essere una svolta nella politica monetaria di Francoforte. Bisogna soffocare l'inflazione senza colpire il Pil. Il "falco" Christian Lindner e il rischio di una marcia indietro rispetto al decennio "draghiano"

Christine Lagarde pronuncerà il suo “whatever it takes”? La riunione del Consiglio che si tiene oggi in Olanda è attesa come momento di svolta nella politica monetaria della Bce. Il dilemma è lo stesso di fronte al quale si trova la Federal Reserve: come soffocare l’inflazione senza strozzare il pil. I prezzi al consumo nell’area euro sono saliti a un ritmo dell’otto per cento a maggio spinti dall’energia e dalle materie prime alimentari, al netto di queste componenti crescono di circa la metà, segno evidente della trasmissione dei costi energetici sui prezzi finali degli altri beni.

 

La differenza con gli Stati Uniti è che i salari non stanno aumentando alla stessa velocità di quelli americani, quindi non s’è innescata la rincorsa prezzi-salari che il governatore della Banca d’Italia ha chiesto di scongiurare. In ogni caso, tutti s’aspettano che la Bce abbandoni la politica dei tassi ufficiali negativi e si avvii sulla strada di un rialzo del costo del denaro che, ha avvertito Ignazio Visco, “dovrà avvenire con gradualità”. E soprattutto non deve essere accompagnata dalla svendita dei titoli pubblici in portafoglio. La Bce si trova ad affrontare un altro problema rispetto alla Fed: l’inflazione non si diffonde allo stesso modo e rischia di mettere in discussione la stabilità della valuta comune.

 

Il pericolo è la frammentazione dell’area euro, il cui segnale è dato dagli spread. Negli ultimi mesi il costo dell’indebitamento per l’Italia è cresciuto fino a due punti percentuali rispetto alla Germania, il livello più alto dalla pandemia. La presidente Lagarde nel marzo 2020, di fronte alle prime tensioni provocate allora dal Covid-19, si lasciò andare a una battuta  estremamente infelice: “Non siamo qui per ridurre lo spread, ci sono altri strumenti e altri attori per farlo”. Apriti cielo, le Borse caddero immediatamente e Madame Lagarde dovette fare ammenda. Da allora sotto i ponti del Meno sono passati i 20 miliardi di titoli acquistati ogni mese dalla Bce più il Next Generation Eu.

 

Adesso la questione si ripropone. Il ministro delle Finanze tedesco, il liberale Christian Lindner, in un’intervista al magazine Focus, ha chiesto che la Bce segua la Fed e agisca “senza esitazione per porre fine alle politiche espansive e liberare gli stati dai bail-out fondati sul debito”. Lindner ha respinto ogni proposta di creare un nuovo fondo comune per affrontare la crisi energetica e l’impatto della guerra in Ucraina. Insomma la Bce deve innescare una chiara marcia indietro rispetto al decennio draghiano.

 

Le conseguenze sarebbero disastrose, sottolinea un editoriale del Financial Times, evocando la crisi dei debiti sovrani. Allora, nel luglio 2012 Draghi disse che la Bce avrebbe fatto tutto il necessario per tenere insieme l’euro, “all’interno del suo mandato”. Ebbene “evitare la frammentazione finanziaria non è solo all’interno del mandato, ma è richiesto dal mandato della Bce, completando così la sua trasformazione, avviata fin dalla crisi finanziaria globale, in una banca centrale moderna e liberandosi delle primigenie limitazioni ideologiche su cosa potrebbe o dovrebbe fare”.

 

Che cosa si aspettano dunque i mercati? Che Christine Lagarde nell’annunciare una graduale stretta delle condizioni monetarie (si parla di un quarto di punto) dica che “è pronta ad adottare nuovi strumenti se necessario per assicurare che la politica monetaria sia trasmessa a tutte le economie dell’area euro, un codice per contenere (se non chiudere a titolo definitivo) gli spread sui titoli sovrani”, scrive il Ft. Quali strumenti? Anche senza introdurre nulla di nuovo, la Bce ha a disposizione 200 miliardi di euro da spendere all’interno del programma precedentemente annunciato.

 

Un “tesoretto” che deriva dal reinvestire gli asset in scadenza di qui a un anno. Questa gestione attiva dei titoli in portafoglio non viola nessun mandato e consente di ammortizzare l’impatto dei tassi. Un sollievo per l’Italia? Certo, ma anche per i mercati e per l’euro. Ciò vuol dire che Roma potrà spendere e spandere? No, ma per questo, ci sono “altri strumenti e altri attori” dovrebbe dire Christine Lagarde.

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